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L’amore per la saggezza - Esempi di vita ed esercizi spirituali dei filosofi dell’antica Grecia - Parte 8: Proclo - di Luciano Silva

Proclo - I livelli di coscienza

04/07/2022

Questo contributo, riveduto e corretto, è stato estratto da un libro che scrissi nel 1995 sugli esercizi spirituali degli antichi filosofi greci dal titolo “L’amore per la saggezza – Esempi di vita nella Grecia antica” dedicato ai principali filosofi dell’antica Grecia e alla loro spiritualità. Il libro non fu mai dato alle stampe nella sua versione completa ma alcuni estratti furono pubblicati in Italia negli anni 1996 e 1997 dalla rivista di studi tradizionali “Mos Maiorum”. Tutti i diritti sono riservati. Luciano Silva.

 

 

Tutto è ricolmo di dèi””

(Proclo)

 

 

 

 

 

Arrivato ad Atene, patria della filosofia, Proclo non vedeva l'ora di poter ammirare la veneranda Acropoli, centro spirituale della città. Era tardi, ormai il tramonto era imminente e c'era il rischio il rischio di trovare già tutto chiuso, ma Proclo voleva iniziare bene il suo soggiorno ad Atene, ammirando il simbolo stesso della grecità e rendendo omaggio alla sua tradizione gloriosa. Perciò egli affrettò il passo ed arrivò proprio nel momento in cui il custode stava per chiudere; vedendo Proclo, il guardiano disse: “Certo se tu non fossi venuto avrei già chiuso”; era tardi, ma per lui l'Acropoli sarebbe rimasta aperta ancora un po’. Agli antichi, abituati a vedere in ogni oggetto l'immagine di una realtà che lo supera e negli avvenimenti della vita la traccia di un disegno più ampio, l'episodio sembrava emblematico.

Proclo nacque a Costantinopoli verso il 410 D.C. Aveva studiato ad Alessandria d'Egitto, che allora era uno dei centri culturali più importanti del mondo antico, ma i filosofi del luogo non lo soddisfacevano pienamente. Così, dopo i vent'anni, egli si trasferì ad Atene che, in campo filosofico, era ancora la città più prestigiosa. Si fece discepolo di Siriano, il filosofo che stava a capo della scuola neoplatonica di Atene, e fu conquistato dalla grandezza del maestro così come poi Siriano fu conquistato dalla genialità e dalle doti spirituali del discepolo tanto da riversare nel suo allievo tutto ciò che possedeva e da designarlo suo successore prima di morire; Proclo aveva allora ventisette anni e guidò la scuola per quarantotto lunghi anni. Alla sua morte egli fu sepolto nella tomba che Siriano aveva fatto costruire, per sé e per il proprio figlio spirituale.

La fiducia di Siriano fu ben riposta; Proclo riportò la sapienza greca all'antico splendore, mettendola in grado di contrastare il cristianesimo che si stava imponendo un po’ ovunque. Come già Pitagora, Platone, Epicuro e gli altri maestri antichi, la sua filosofia fu globale: impegnato non era solo l'intelletto ma tutte le risorse fisiche, mentali e spirituali dell'uomo. In Proclo, più che in altri maestri della antichità, fu vera la concezione della filosofia come pratica di vita avente come preciso compito l'elevazione dell'uomo verso il divino, da un livello di coscienza all'altro, sino a renderlo simile agli dèi. La sua più grande impresa fu quella di portare la scelta di vita filosofica alle estreme conseguenze, esplorando via via, con una progressione crescente, tutte le possibili condizioni ed i possibili stati della coscienza umana tramite un instancabile ed infaticabile operato quotidiano sul proprio essere.

La sua figura e la sua opera fecero l'effetto di un bagliore inaspettato, che però fu un po’ il canto del cigno del mondo greco. L'Acropoli che stava per chiudere all'ora del tramonto dà un'immagine fedele dello stato della cultura greca che al tempo di Proclo stava per cedere le menti e gli spiriti migliori al cristianesimo dilagante: Proclo poté in parte rallentarne il declino. La figura di Proclo è particolarmente interessante per due motivi:

1.           Proclo, per il fatto di essere vissuto nel V sec. A.C. ed aver ereditato da Siriano la conduzione della scuola neoplatonica di Atene, accoglie e raccoglie in maniera sistematica e globale tutta l'imponente eredità della spiritualità greca desunta dai suoi predecessori. Partendo da Platone, da quale discendono ovviamente le fondamenta del Medioplatonismo prima e del Neoplatonismo poi, in Proclo si trovano riassunte e quintessenziate le maggiori conquiste del pensiero e, soprattutto, dello spirito di Socrate, degli stoici ed anche, in taluni aspetti, degli epicurei. Tutto ciò non solo per la possibilità unica che Proclo ebbe di accogliere tutta la messe del pensiero filosofico greco ma anche, e soprattutto, di aver portato questo pensiero alle sue estreme conseguenze, ovvero di aver privilegiato in maniera decisiva l'azione ieratica, l'arte magico-teurgica, rispetto a quella contemplativa o speculativa, considerando l’azione come logico coronamento e conseguenza dell’arte filosofica. E' proprio questo aspetto a fornire una ulteriore prova dell'importanza che questo maestro assume rispetto agli altri filosofi del suo tempo.

2.           Proclo fa sua, dunque, la direzione già impressa da Giamblico. Rispetto alla pura via contemplativa proposta da Plotino l'attenzione ora si sposta sulle basi e sulle istanze religiose della filosofia. Giamblico è in effetti il primo "scolastico", cioè il primo pensatore che ha strutturato la ricerca filosofica sulla base di quello che ai suoi occhi appariva la necessaria conseguenza e finalità di questa: l'azione sui piani più profondi dell'uomo, l'azione sullo spirito. Senza questo ulteriore contributo dato da Giamblico prima e Proclo successivamente, la filosofia Neoplatonica si sarebbe esaurita probabilmente nel giro di due sole generazioni.

Quali sono dunque le "novità" introdotte da Giamblico e riprese poi da Proclo ? La prima considerazione fu quella di non limitare l'azione filosofica alla semplice critica anticristiana al fine di salvare il "paganesimo" dal cristianesimo dilagante ma di rifondare a livello concettuale e filosofico il politeismo dell'ultima grecità onde rettificarlo nei suoi aspetti più degenerati. Lo spirito innovativo di Giamblico partì da un testo, ritenuto sacro e sapienziale dallo stesso Proclo negli anni a venire, ovvero gli Oracoli Caldaici.

La seconda azione operata da Giamblico partì dalla constatazione che la filosofia classica era ormai incapace, per gli uomini di quel tempo, di basare il raggiungimento del proprio obiettivo, l'unione col divino, sul semplice utilizzo della ragione, strumento fondamentale di indagine della realtà sul quale si erano fondate quasi tutte le filosofie ellenistiche precedenti. È così che Giamblico prima, e Proclo poi in maniera ancor più incisiva, proposero e praticarono una attività che per sua natura si pone necessariamente al di sopra delle facoltà razionali dell'uomo: la teurgia, la "sapienza" della magia utilizzata per finalità di carattere religioso. Il teurgo invoca gli dèi e agisce su di essi o, meglio, li fa agire sull'uomo e nell’uomo. Per Proclo la teurgia, infatti, non è l'attività dell'uomo che sale agli dèi e li raggiunge, giacché in tal caso verrebbe compromessa l'impassibilità degli dèi medesimi, ma deve essere la stessa potenza divina che scende agli uomini o, meglio, che libera gli uomini dei vincoli di questo mondo e li riporta agli dèi.

Celebre è la frase di Plotino: “Non sono io che devo andare agli dèi ma gli dèi venire a me”. Chiaramente ciò necessita di una particolare disposizione da parte dell'uomo ad accogliere il divino, frutto di una evoluzione progressiva del proprio stato di consapevolezza della realtà che consente di acquisire una certa familiarità con le presenze divine e tutta la catena degli esseri visibili e invisibili. In tutto questo Proclo si esercitò incessantemente per tutta la vita, senza mai scadere nel puro irrazionalismo, anzi, cercando sempre di spiegare e legittimare ogni suo passaggio meta-razionale ed ogni sua azione teurgica con l'aspetto teoretico della sua dottrina, dimostrando come in realtà le intuizioni dei suoi predecessori fossero comunque "ispirate" da leggi che sovrastano la realtà sensibile e manifestata.

Vediamo ora come i principi cardine del Neoplatonismo, visti alla luce della "riforma" introdotta da Giamblico e Proclo, siano stati messi in atto sottoforma di precise azioni magico-teurgiche che impressero una svolta decisiva a tutta la spiritualità platonica.

 

Il nesso della ''simpatia” universale come primo fondamento

Tutto l'universo per Proclo è retto da una strutturale organica connessione che ne realizza l'unità e che si esprime con la legge della “simpatia” (dal greco sympatheia, parola composta da συν + πάσχω, syn + pascho = συμπάσχω, letteralmente «patire insieme», «provare emozioni con...), la quale consiste nel concetto platonico del cosmico con-sentire, sentire assieme. Punto di partenza dell'arte ieratica per Proclo fu proprio questa "simpatia" universale che lega i sensibili a se medesimi ed al soprasensibile (e viceversa). Sfruttando la "simpatia" (o l’antipatia) i teurghi attiravano e respingevano rispettivamente le forze sottili. Ad esempio, purificavano per mezzo dello zolfo e del bitume e aspergevano intorno acqua di mare: infatti lo zolfo purifica grazie al suo odore acre, l'acqua salata del mare in quanto partecipa di un potere igneo.

 

Il nesso metafisico del tutto-in-tutto come secondo fondamento.

Questo principio già consacrato da Plotino, dice che ogni realtà rispecchia, a suo modo, a differenti livelli ed in differente misura, l'universo intero. Teurgicamente ciò spiega perché i vari oggetti fisici, le piante, gli animali e i vari enti intelligibili, possano portare al Principio primo.

 

Il nesso della "rassomiglianza" come terzo fondamento

Tra il mondo fisico e quello metafisico esiste una similitudine. Dice un passo dell'Arte ieratica: “...sulla terra è possibile vedere, secondo la modalità terrestre, soli e lune, così come è possibile vedere in cielo, secondo la modalità celeste, tutte le piante, le pietre e gli animali, nella loro vita a livello intellettivo. Gli antichi sapienti percepivano questo con la profondità del loro sguardo; mettendo quindi in rapporto le varie cose con l'uno o con l'altro degli esseri celesti, estendevano le potenze divine fino allo spazio dove risiedono le cose mortali e lì riuscirono ad attirarle per mezzo della somiglianza: infatti la somiglianza ha la facoltà di connettere gli esseri tra loro”.

 

Il principio “Tutto è pieno di dèi” come quarto fondamento

Questo detto, attribuito addirittura al primo filosofo Talete, viene esteso da Proclo in “Tutto è ricolmo di dèi”. L'applicazione teurgica di questo principio è così espressa nell'Arte ieratica: “Così tutte le cose sono ricolme di dèi, quelle sulla terra degli dèi celesti, quelli in cielo degli dèi iperurani, e ogni serie si moltiplica e procede fino ai termini estremi”.

 

Il nesso della "partecipazione" che lega tutta la realtà

Questo concetto, basilare nella metafisica di Proclo, esprime l'idea che ogni cosa partecipa del divino in misura corrispondente alla sua posizione gerarchica e, di conseguenza, a seconda del posto che occupa nella scala gerarchica della partecipazione può avere efficacia teurgica diversa (cioè ottenere quella comunicazione col divino e successiva assimilazione di cui prima). E' proprio sulla base di questa partecipazione gerarchica differenziata si spiegherebbero i differenti poteri magico-teurgici dei vari oggetti e animali.

 

Attraverso l'esplicazione di questi principi basilari della filosofia Neoplatonica in chiave magico-teurgica ed attraverso il loro approfondimento in senso operativo, Proclo ebbe la possibilità di accedere a certi livelli di coscienza privilegiati che gli consentirono, date le sue particolari disposizioni, di esercitare la propria azione

nell'arte telestica ed in quella medianica. La telestica è l'arte di comprendere a fondo la catena che collega e riunisce gli esseri superiori e inferiori. Con questa conoscenza gli antichi sapienti sapevano attirare le potenze divine e stabilirne i collegamenti con gli uomini grazie ai quali possedevano il perfetto dominio delle evocazioni ed invocazioni. L'unione del simile col simile, fondamento teoretico della filosofia Neoplatonica, avviene creando una pace assoluta in noi ed attorno a noi così da attrarre per invocazione gli spiriti divini. Lo sviluppo da parte di Proclo di queste arti è stato semplicemente e logicamente consequenziale ad una lunga pratica di vita tramite la quale Proclo passò da un livello di coscienza all'altro conquistando man mano maggiori conoscenze ed avvicinandosi sempre di più alla meta primaria della sua filosofia: il ritorno all'UNO.

Il concetto platonico che tutto partecipa, a livelli differenti, alla realtà dell'UNO significa che tutte le cose sono state generate dall'UNO, principio causale primigenio di tutte le cose, ma anche che tutte le cose, al termine della loro vita, ad esso ritornano venendo così riassorbite dal principio che le ha generate. L'importanza di Proclo sta anche nell'aver approfondito le leggi di sviluppo della realtà molteplice dall'UNO originario; già Plotino aveva individuato i tre momenti essenziali di questo sviluppo secondo il quale tutte le cose rispettano, all'atto della loro manifestazione, un ritmo triadico: si tratta della permanenza del principio in sé, della processione con cui il principio esce da sé, e del ritorno con cui il molteplice generato si ricongiunge al principio della sua generazione. Ogni ente produttivo conosce questi tre aspetti che possono essere anche concepiti come fasi: esso rimane ciò che è, produce qualcosa moltiplicando sé medesimo, con la sua presenza nelle cose prodotte stimola la loro aspirazione al ritorno al luogo della propria origine. Questo dinamismo si applica ovviamente anche all'anima umana che si è separata dall'UNO ma sente in sé il richiamo a ritornare a quell'UNO a cui alla fine si ricongiungerà. Anche se il processo è circolare, i tre momenti coesistono: l'universo e l'uomo procedono dall'UNO ma non ne sono separati ed è proprio per questo che possono avvertire dentro di sé l'aspirazione al ritorno. La realizzazione di questo ritorno però comporta il ricongiungimento col mondo divino dal quale ci siamo allontanati, comporta una serie di purificazioni e di azioni tali da permetterci, attraverso una visione più chiara ed immediata (ovvero non mediata) della realtà che è in noi e fuori di noi, la realizzazione della nostra natura più profonda. E' in questa direzione che Proclo orientò tutta la sua vita della quale il suo discepolo Marino, successo poi a Proclo alla guida della scuola di Atene, ci ha lasciato una mirabile immagine (vedi Marino di Neapoli, “Vita di Proclo). L'intento celebrativo non impedisce allo scritto di Marino di essere una vera biografia, attenta a mostrare anche i tratti più umani di Proclo: egli era emotivo, facile alle lacrime ed immediato nell'espressione dei suoi sentimenti, ma anche ambizioso, impulsivo e irascibile. La sua ira era però di cera, si scioglieva in fretta e allora Proclo cercava di venire subito all'intesa con chi l'aveva suscitata. Egli lottava instancabilmente contro le proprie debolezze e aveva imparato a limitare gli effetti, tanto da apparire alla fine una persona quasi sovraumana; la storia raccontata da Marino è il risultato di una selezione di episodi, disposti in modo da fornirci una immagine di un filosofo ideale e del suo itinerario spirituale, così come veniva concepito nel mondo greco.

 

I vari livelli di “virtù” da acquisire per Proclo

I diversi gradi di virtù acquisiti da Proclo rappresentano livelli di coscienza che vanno progressivamente raggiunti per realizzare nella vita la propria natura profonda, che si identifica con la propria divinizzazione.

Primo livello: le virtù naturali

Al primo livello Marino descrive le doti che si possono chiamare naturali. Esse rappresentano la premessa e la condizione degli sviluppi successivi. Il rispetto delle norme di autodisciplina e di moralità del vivere in comune e l'attenzione per la sincerità in ogni frangente della vita quotidiana sono le premesse necessarie allo sviluppo di qualità intellettuali come la memoria, la prontezza di apprendimento, la creatività, la giustizia. Proclo conduceva una vita austera e regolata; il dominio delle passioni non era inteso come la negazione assoluta del piacere fisico ma come strumento di controllo degli impulsi più immediati: così facendo riusciva a sperimentare il piacere ad un livello più elevato, più reale, più intenso. Il distacco dalle ricchezze era molto raccomandato; Proclo rinunciò in effetti al notevole patrimonio familiare consigliando a tutti la temperanza in ogni cosa, una vita semplice e priva di ricercatezze. Queste disposizioni conducono a quella che viene chiamata la sapienza dell'anima. È a questo livello che Proclo sviluppa notevolmente la memoria, apprende moltissimi concetti di matematica, astronomia, filologia ed inizia il suo avvicinamento al sacro. Con queste disposizioni d'animo, i rapporti umani sono facilitati: si evitano la violenza e l'aggressività e si sviluppa l'affabilità. Questa armonia interiore si trasferisce naturalmente al fisico e ne potenzia i sensi e la capacità. È qui che Proclo sperimenta un certo aumento della capacità di vedere e di sentire. Il corpo tutto prende vigore, migliora la salute, si diventa indifferenti al caldo così come al freddo, migliora la resistenza alle fatiche, si riduce il bisogno di cibo; emerge insomma quella particolare sensibilità che viene chiamata la sapienza del corpo. Proclo poteva vantarsi di essersi malato solo due o tre volte nei suoi settantacinque anni.

L'assenza di conflitti e di tensioni non fa solo sviluppare armonicamente il corpo ma porta anche a quella naturalezza di gesti e di atteggiamenti che rendono gradevole e attraente una persona. Anche l'incedere viene modificato. Marino considera propria di questo livello di coscienza una luminosità, che egli chiama “luce vitale”, che si irradiava dal maestro e che costituiva il motivo recondito dell'attrazione da lui esercitata. Proclo affascinava chi stava con lui, anzi la sua stessa vicinanza aveva l'effetto di rassicurare e di rasserenare.

 

Secondo livello: le virtù etiche

Trattando del secondo livello, cioè di quelle che vengono chiamate le virtù etiche, Marino parla della decisiva volontà di Proclo di porre la filosofia al primo posto nella sua vita; egli si dilunga sulla ricerca del maestro e racconta quanto Proclo dovette viaggiare per trovarlo. Molti maestri ne apprezzavano le doti e lo volevano come discepolo, ma era lui a non essere soddisfatto, perché essi impartivano un'istruzione che non era vera esperienza, ma solo cultura ed esercizio mentale. Infine ebbe luogo l'incontro con Siriano, figlio di Filosseno, che dapprima per un paio d'anni lo mise alla prova e revisionò la sua impostazione mentale, facendogli studiare Aristotele e poi, finalmente, gli diede l'iniziazione che lo portò gradualmente a vivere quelle esperienze esoteriche che costituiscono il vero insegnamento a cui si riferiscono i dialoghi platonici. A questo livello Marino richiama un solo aspetto della disciplina, cioè l'astinenza delle carni che Proclo rispettava in maniera assoluta; per quanto venisse spinto ad essere meno rigido su questo punto, egli si rifiutava di cedere anche di fronte al consiglio più autorevole e in questo Siriano lo approvava e lo appoggiava.

Parallelamente Marino parla di come in Proclo si sia sviluppata una sensibilità particolare alla presenza di influssi di essere incorporei, con sensazioni di immagini che affioravano non solo in sogno, ma anche nello stato di veglia ordinario. Egli racconta che al suo sbarco al Pireo, Proclo fu accolto da un suo connazionale, Nicola, che gli propose di accompagnarlo in città; durante il cammino Proclo avvertì il desiderio di fermarsi un po’ e di sedere e così egli comunicò il suo bisogno all'accompagnatore. Egli non poteva sapere che erano appena arrivati in un'area consacrata a Socrate, né che lì vicino c'era un tempietto con una fontana dedicato al lui. È difficile ridurre questo fatto a una coincidenza; a Nicola sembrò il segno di una sensibilità particolare e di una premonizione, visto che Proclo sembrava essere predisposto a questo tipo di eventi. È dunque a questo livello che Proclo sviluppa la sensibilità per i "luoghi di potere", per posti o località con particolari segnature così come appaiono i primi segni di una certa famigliarità con gli dèi.

All'inizio della adolescenza, nel momento in cui di solito si manifestano i segni di una vocazione dei mistici e degli sciamani, egli ebbe una visione: gli apparve in sogno la Dea Madre, a cui si sentì sempre legato da un vincolo particolare, che lo incitava a dedicarsi alla filosofia. Quasi nello stesso periodo egli fu anche provato da una malattia che lo spossò fino al punto da sembrare senza rimedio. Proclo era a letto, col busto sollevato, appoggiato a un cuscino; improvvisamente apparve una delle divinità (Telesforo) che annunciavano la presenza di Asclepio. Essa calò dall'alto del ragazzo, fino ad arrivare all'altezza del suo corpo e poi sparì, lasciandolo completamente guarito. Sappiamo di quanto Asclepio o i suoi figli, come Igea, Panacea o lo stesso Telesforo, agiscano in sogno per portare guarigione al malato. Famosa è l’incubazione di questi dèi in sogno da parte dei greci che da tutte le parti della Grecia si recavano presso i templi di Asclepio, a Pergamo così come ad Epidauro, ad esempio, per ricevere il tocco risanatore del dio, o di uno dei suoi emissari, in sogno. Nello stesso contesto, Marino parla anche della predisposizione naturale di Proclo a rivolgersi agli dèi e ricorda una sentenza pronunciata da un indovino che, vedendolo scalzo mentre rivolgeva la preghiera al sorgere della luna, predisse: “Costui sarà un gran bene o il contrario di esso”.

 

Terzo livello: le virtù politiche

A proposito del terzo livello, Marino parla della "philia" in Proclo. Questa virtù non è tanto ciò che noi intendiamo come amicizia quanto piuttosto, come ritenevano anche i pitagorici, la forza che tiene unito l'universo. Si tratta di una forza unificatrice perché attinge all'unico principio di tutte le cose e riporta ad esso; collega la terra col cielo e con tutto l'universo. Per i Neoplatonici essa si identifica con l'energia che ci fa ascendere all'UNO, mentre, sul piano interpersonale, si tratta della forza che ci collega con gli altri, un senso di solidarietà che ci rende capaci di influenzare lo stato e l'orientamento comune. Occupandosi di questo livello, Proclo scelse di non fare l'esperienza del matrimonio e della educazione dei figli, rifiutando numerose occasioni. Egli diceva di essersi reso così pienamente libero e disponibile non solo con i suoi discepoli e amici, ma anche per le loro mogli e i loro figli, divenendo per loro quasi un padre comune e addirittura un motivo di vita. Infatti egli si prendeva cura dei suoi discepoli e amici, in svariati modi.

Se qualcuno dei discepoli si fosse ammalato, egli avrebbe iniziato anzitutto a pregare per lui in una forma particolare, ma poi se ne interessava anche andandolo a trovare e suggerendo a quali medici rivolgersi; se poi i medici non riuscivano a venire a capo della malattia, egli interveniva personalmente con qualche rimedio straordinario. Così risolse molti casi che in un primo momento sembravano disperati. Cercava di essere il primo esempio per i suoi seguaci e li spingeva a padroneggiare le passioni “...dando insegnamenti non con la mera parola, ma mettendoli piuttosto in pratica durante tutta la sua vita e diventando in un certo senso modello di moderazione per gli altri”, dice Marino. Ai discepoli andavano le prime cure; Proclo era per loro un maestro e una guida, oltre che un padre ma, se si fosse limitato a loro, egli avrebbe finito per formare una setta chiusa nei confronti del mondo circostante. Il suo interessamento doveva invece allargarsi a tutti e così egli voleva che fosse anche per i suoi allievi.

Proclo non si coinvolse mai direttamente nella politica, preferendo agire ad un altro livello, ma incoraggiava all'impegno chi ne aveva i requisiti, considerando questa attività come un'occasione per fare del bene a tutti; se però era necessario, egli stesso partecipava alle riunioni pubbliche e sapeva difendere la causa giusta anche al prezzo dell'esilio. Proclo era sempre in grado, con lettere e consigli, di orientare positivamente la vita politica di intere città. Marino, prima di occuparsi del livello successivo, chiarisce che a questo punto c'è una discontinuità netta, un vero e proprio salto. Il processo ascendente, che porta ad operare come gli dèi e ad assomigliare loro sempre di più, si realizza per tappe successive se ad ogni livello si realizza una purificazione e contemporaneamente una fortificazione specifica, così che la realtà si rivela in dimensioni sempre più profonde, vaste ed autentiche.

Il passaggio dai primi tre livelli ai tre superiori comporta un salto di coscienza particolare. Nelle fasi finora considerate ci si purifica, ci si arricchisce e si progredisce a poco a poco, limitando e dosando l'ira e i desideri, eliminando le passioni e le false immagini mentali, raggiungendo insomma quella qualità che tutte le scuole filosofiche greche hanno chiamato come atarassia, assenza di turbamento. E' proprio in un animo pacificato che gli stoici così come gli epicurei identificavano la possibilità di varcare la soglia che ci separa dai mondo delle intelligenze pure, il mondo degli dei e dei demoni.

 

Quarto livello: le virtù catartiche

Il quarto livello è quello identificato da Marino come quello delle virtù catartiche. Dice Marino: “Le virtù catartiche, che sono superiori, separano del tutto e liberano dalla vera e propria massa di piombo legata al divenire”. Esse danno cioè la possibilità di staccarsi dai limiti di questo mondo, superando le dimensioni dello spazio e del tempo che gli sono intrinseche. È a questo livello che Proclo manifesta doti di ubiquità, bilocazione ed esercita a pieno l'arte della telestica prima citata ovvero l'arte di sciogliere l'anima dai legami che l'avviluppano e perciò la "fissano" a livello condizionato. La capacità di liberare l'anima dal corpo porta conseguentemente alla facoltà di animare corpi inanimati o di evocare gli spiriti per poi trasferirli sui corpi o su qualche involucro atto a contenerli. Proclo arriva ad animare la statua di Herakles, mostrando di avere ben presenti rituali diffusi sia in Egitto che a Babilonia. Queste pratiche pare fossero in possesso anche di Massimo di Efeso, noto conoscitore degli elementi magico-teurgici neoplatonici, che iniziò Giuliano Imperatore ai misteri teurgici secondi i riti caldei e che arrivò a far sorridere la statua di Hecate, dea personificazione della potenza divina, mentre una fiamma scaturiva dalle torce che la dea aveva in mano.

Per potersi sollevare al di sopra della propria individualità, Proclo insegna che si deve arrivare prima alla perfetta sintonia con tutto il cosmo ed al domino totale del proprio involucro fisico. Proclo infatti, oltre a limitare il cibo e i liquidi alla quantità necessaria, evitando sempre l'assunzione di carni e di bevande inebrianti, praticava il digiuno ad ogni cambiamento di fase lunare, alla vigilia delle feste o a seguito di una visione, e passava poi la notte vegliando in preghiera. L'utilizzo della preghiera per fini ascetici non richiedeva come condizione un genere di vita moralmente retto o un atteggiamento devozionale o sentimentale ma una particolare operazione tale per cui occorreva svegliare nel proprio cuore i pensieri divini i quali, assieme ad una assidua frequenza del culto religioso, costituivano le vere premesse per il "riassorbimento " nell'unità divina. Solo così la preghiera portava a convergere verso il Tutto essendo questa, così concepita, un vero e proprio contatto e unione con la divinità.

Marino parla a questo livello della sopportazione dei dolori fisici e morali e della inalterabilità dell'umore di fronte agli imprevisti, fino a raggiungere l'imperturbabilità completa e la pace interiore in qualunque evenienza; al posto delle reazioni emotive subentra la semplice constatazione. E' qui che Proclo apprende la recitazione di inni agli dèi a scopo apotropaico o lustratorio (ovvero con finalità di protezione e di purificazione). La sapienza raggiunge una nuova dimensione; essa non è più l'arte di scegliere bene fra più soluzioni ma, poiché la coscienza è stabilizzata nella propria condizione di distacco, l'azione giusta scaturisce naturalmente senza sforzi o mediazioni. Questo è anche il livello della libertà dal timore della morte; dopo aver sperimentato l'esperienza del distacco, l'uomo non teme più la fine dell'involucro fisico comprendendo che questa è solo la premessa al ritorno al nostro principio causale, all'Uno originario.

Virtù catartica è anche la capacità di superare i legami culturali, geografici, temporali. Proclo celebrava riti e culti di differenti religioni, mostrando una conoscenza straordinaria, maggiore talvolta dei sacerdoti dedicati ad essi. Proclo non si dedicava però né ai culti cristiani né a quelli degli ebrei in quanto li riteneva frutto dell'ignoranza di coloro che negavano di fatto le basi teologiche della dottrina platonica (Proclo parla di "incompetenza scientifica"): negare gli dèi significa per i neoplatonici negare le enadi (primo livello di manifestazione dell'UNO in unità molteplici nelle quali l'UNO si fa molti restando UNO nel più alto grado), ovvero ciò che unisce il mondo del divenire al Principio primo e quindi tale negazione di fatto scardina la comunione tra uomo e Dio. Il pensiero di Proclo non è mai scaduto nella pura polemica contro la religione galilea allora dilagante, nonostante questa avesse già manifestato atteggiamenti violenti e persecutori, ma difese sempre su basi teologiche, qualora le circostanze lo rendevano necessario, la spiritualità "pagana" degli antenati.

Quinto livello: le virtù contemplative

Da questo livello in poi la crescita procede in modo accelerato: la realtà è penetrata in modo diretto, tramite l'adesione a ciò che la origina. In questo tipo di conoscenza, il ragionamento e l'intelligenza discorsiva non hanno più alcun ruolo, sono mezzi non più adatti alla comprensione della realtà. Affiora allora la visione contemplativa, fatta di intuizioni semplici, dei modelli primi della realtà che possono essere colti con la seconda vista della nostra coscienza. A questo livello diventa quindi possibile anche l'esegesi ispirata; la capacità di penetrare il senso recondito delle strutture delle religioni e dei miti rende evidenti la loro concordanza ed armonia. È qui che il mito svela il suo tesoro riportando alla chiara visione delle origini.

L'evoluzione spirituale permette di distinguere ciò che è vero ed essenziale dalle deformazioni e dalle distorsioni della verità originaria: essa, quindi, è il presupposto della vera ortodossia, cioè della difesa della retta dottrina, tanto da permettere di riformulare la tradizione purificandola degli aspetti non conformi alla realtà ora completamente dispiegata. L'insegnamento e la direzione spirituale divengono ispirati, “le parole realmente simili a fiocchi di neve”. A questo livello si è in grado di far accedere alla luce chiunque abbia volontà e giusta disposizione; l'azione diviene così adempimento della propria missione e nell'attività si scoprono nuove fonti di energia.

Il riposo necessario si riduce a qualche ora e si scopre un modo particolare per operare anche durante il sonno. L'attività di Proclo raggiungeva un ritmo intensissimo; era capace di tenere cinque o sei lezioni nella stessa giornata e in più poteva scrivere, tenere lezioni collettive dopo cena, avere incontri personali; tutto questo dopo (o piuttosto per) aver passato la notte in preghiera. Egli pregava infatti al sorgere del sole, a mezzogiorno, al tramonto e durante la notte, con particolare attenzione all'astro solare. L'intento di queste preghiere era quello di trasferire nell'interiorità dell'orante l'essenza del potere solare evocato; dice Proclo: “Concedi alla mia anima luce purissima e beatissima, dopo aver disperso la nebbia funesta ai mortali, prodotta dal veleno”. Proclo utilizzerà spesso il simbolismo solare per esprimere l'idea della partecipazione delle virtù divine e la fondamentale presenza nel mondo di qualità spirituali "solari". Tale partecipazione conduce alla visione interiore, al mondo intelligibile. Eunapio ci parla di un giovane che profetava non appena guardava il sole, mentre Damascio - penultimo esponente della scuola neoplatonica di Atene - riferisce di una donna che pregava il sole e prediceva l'avvenire.

Sembra che anche Proclo, così come Giamblico e successivamente anche l'ultimo scolarca Damascio, praticasse delle tecniche di controllo del pensiero che egli riferisce quale pratica corrente di tutta la scuola. Queste tecniche avevano lo scopo di realizzare in interiore una certa condizione di unità del pensiero, non disperso, libero da immagini, immobile attraverso l'eliminazione di ogni divagazione, per poi condurlo alla sua nudità essenziale, privo di oggetto da pensare, oltre ogni dualismo e perciò unificato, un pensiero puro. Solamente dopo aver realizzato il silenzio interiore è possibile raggiungere il "completamente inconoscibile" che è Dio. Il controllo del pensiero inoltre sembra essere stato solidale con tecniche di respirazione simili a quelle sviluppate nelle scuole indiane di yoga classico e in quelle tantriche, ulteriore conferma che nel neoplatonismo, a somiglianza dei vari sistemi indiani, la speculazione filosofica veniva considerata un mezzo di approssimazione al fine ultimo che è la realizzazione in interiore dei processi spirituali che l'analisi logico-dialettica riesce a raffigurare ma solo in una forma astratta.

Esula da questo contesto un ulteriore approfondimento di questo tema ma nelle tecniche spirituali neoplatoniche il ruolo fondamentale assunto dal respiro, il pneuma (il soffio vitale), sembra essere evidente già a partire dagli Oracoli Caldaici nei quali vi sono numerosi riferimenti al respiro come elemento fondamentale in rapporto alla attività dell'anima. Gli effetti su Proclo della conquista di questo livello di coscienza si manifestarono assai visibilmente agli occhi dei discepoli tanto che quando parlava sembrava che sprigionasse un bagliore dagli occhi; qualcuno riusciva a vedere il suo volto irradiare una luce così intensa da nasconderne il profilo, e da ciò ne scaturiva una profonda venerazione.

Abbiamo sin qui distinto le caratteristiche del quarto e del quinto livello di coscienza, anche se la distinzione su un piano manifesto attraverso i segni o i poteri acquisiti o di crescita interiore spesso li portano a confondersi. Marino parla però di un ulteriore livello, il sesto, l'ultimo di cui si possa parlare in modo definito.

 

Sesto livello: le virtù teurgiche

Il quinto livello rende capaci di una contemplazione che accomuna agli dèi; al sesto livello, detto delle virtù teurgiche, la somiglianza con gli dèi riguarda anche il modo di operare. Non ci si protende più solo verso le realtà superiori, ma ci si prende anche cura di quelle inferiori. Si acquisisce la capacità di controllare gli enti atmosferici, come la capacità di far piovere, liberando intere regioni dalla siccità, o di fermare i terremoti. Proclo qui viene a conoscenza delle proprie vite precedenti scoprendo di aver vissuto nel corpo del pitagorico Nicomaco; egli vide la propria catena iniziatica portare ad Ermes e gli viene rivelata la durata della sua vita. Il sogno è il veicolo principale delle sue rivelazioni; sia in sogno che in stato di veglia egli riceve più volte la rivelazione di essere oggetto di una particolare predilezione divina. Egli stesso diviene fonte di oracoli e di vaticini, la sua preghiera rende possibile la guarigione e diventa intercessione per i vivi e per i defunti.

È a questo livello che Proclo diventa maestro dell'arte telestica, l'arte di consacrare e vivificare le statue, che in sé non è altro che una applicazione particolare di aspetti della teurgia, così come nell'utilizzo per fini rituali di oggetti simbolici ("i divini strophaloi") aventi la capacità di attirare simpaticamente (o respingere) le presenze divine. Marino ci riporta la testimonianza di Proclo che, dopo aver compiuto delle purificazioni rituali, attraverso l'utilizzo di questi oggetti magici (iynx) provocò la manifestazione luminosa di Hecate (lo strophalos di Ecate è una sfera d'oro che contiene nel mezzo uno zaffiro, viene fatta girare per mezzo di una cinghia di cuoio e ha tutta la superficie coperta di simboli magici; la rotazione di questa sfera provocava l'invocazione della divinità).  Per quanto queste doti possano sembrare straordinarie, esse non costituiscono l'ultimo livello. Marino accenna al conseguimento di un livello ulteriore, il più elevato, di cui però non si può e non si deve neppure parlare.

 

Proclo morì nel 485, dopo una lunga malattia che lo aveva prostrato fisicamente, durante la quale egli aveva avuto l'unico sollievo nel cantare inni agli dèi e nella recita di poemi sacri che conosceva a memoria.

Anche in punto di morte gli dèi gli furono vicini. Marino ci riporta che: “..mentre era nel dormiveglia vide un serpente che strisciava attorno al suo capo, dove aveva preso inizio la paresi; in seguito a questa visione ebbe l'impressione che il suo male avesse smesso di propagarsi e, se il desiderio e la grande attesa della morte non fossero stati d'ostacolo ed egli avesse ritenuto degno il corpo delle cure adatte, sarebbe, credo, completamente guarito”. Anche alla morte di Plotino ci fu una manifestazione analoga di Asclepio, poco prima che spirasse (sempre sottoforma di serpente, epifania teriomorfica del dio).

Marino sostiene che la sua morte fosse stata preannunciata da un'eclissi di sole così profonda da lasciar vedere la luce delle stelle; un'altra eclissi, meno intensa, sarebbe avvenuta al momento del trapasso.

Anche il cielo sembrava annunciare la fine di un mondo e l'oscuramento della tradizione filosofica greca; da questo momento in poi, a parte gli aspetti più essoterici della metafisica di Proclo, ripresi, adattati, convertiti dai primi cristiani e poi da alcuni mistici medioevali, l'enorme conoscenza sapienziale magico-teurgica confluì in circoli ristretti di iniziati, probabilmente appartenenti ad altre tradizioni similari e limitrofe: per la sacra Acropoli era giunto davvero il momento della chiusura.

 

Luciano Silva

 

Bibliografia

  • Proclo, "I Manuali", Rusconi, 1985
  • Proclo, "Elementi di Teologia", Edizioni all'insegna del Veltro, 1983

 

NOTA:

L'indice completo dei vari capitoli, ciascuno dedicato agli esercizi spirituali e alla vita dei vari filosofi, lo trovi qui (con il link diretto al capitolo pubblicato nel presente sito). Tutti i diritti sono riservati.

  1. Parte 1: L’amore per la saggezza - Esempi di vita ed esercizi spirituali dei filosofi dell’antica Grecia: L'oracolo di Delfi 

  2. Parte 2: L’amore per la saggezza - Esempi di vita ed esercizi spirituali dei filosofi dell’antica Grecia: La Filosofia antica

  3. Parte 3: L’amore per la saggezza - Esempi di vita ed esercizi spirituali dei filosofi dell’antica Grecia: Licurgo

  4. Parte 4: L’amore per la saggezza - Esempi di vita ed esercizi spirituali dei filosofi dell’antica Grecia: Socrate

  5. Parte 5: L’amore per la saggezza - Esempi di vita ed esercizi spirituali dei filosofi dell’antica Grecia: Epitteto

  6. Parte 6: L’amore per la saggezza - Esempi di vita ed esercizi spirituali dei filosofi dell’antica Grecia: Diogene "il cane

  7. Parte 7: L’amore per la saggezza - Esempi di vita ed esercizi spirituali dei filosofi dell’antica Grecia: Epicuro

  8. Parte 8: L’amore per la saggezza - Esempi di vita ed esercizi spirituali dei filosofi dell’antica Grecia: Proclo

  9. Parte 9: L’amore per la saggezza - Esempi di vita ed esercizi spirituali dei filosofi dell’antica Grecia: Pitagora

 

 

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