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Il mistero della guarigione nei sogni nella Grecia antica - di Luciano Silva

L'arte del sognare negli antichi greci e l'incubazione dei sogni di guarigione

25/07/2022

«Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit, ut venenum non fit ».

(Tutto è veleno, e nulla esiste senza veleno. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto)

Paracelso - Opera omnia, p.254.

 

Dai tempi di Omero in poi, ovvero da quando abbiamo testimonianze scritte sull’arte del sognare presso gli antichi greci e sul potenziale terapeutico dei sogni, la visione del sogno come atto religioso e spazio di incontro tra gli dèi e gli uomini ha attraversato secoli di storia senza subire anch’essa, come in altre culture, un inevitabile declino. Prima di approfondire questo breve excursus sul sogno nell’antica Grecia, è opportuno trattare il tema della guarigione e, di conseguenza, della malattia, dato che malattia e guarigione erano considerate nella visione dell’antichità più come una esperienza spirituale e, in talune filosofie, trascendentale più che una mera conseguenza di un rapporto causale tra un comportamento nocivo, conscio o inconscio, e l’insorgere della conseguente patologia nel corpo come tentativo di compensazione dello squilibrio in atto. Partendo dall’origine del termine terapeuti (therapeutes), originalmente questo non era riferito a figure dotate di potere di guarigione o a medici in generale ma solo a coloro che erano seguaci e fedeli del culto di una divinità e che servivano i rituali o le prescrizioni dettate dal loro dio. Lo stesso Galeno, il più famoso medico della tarda antichità, dichiarava sé stesso terapeuta del suo dio paterno Asclepio nel senso di seguace, di osservante i suoi culti e misteri. La visione classica della malattia, come della guarigione, era che fosse prodotta da un intervento divino, la prima dall’allontanamento del malato dal culto degli dèi o in generale dalla religione (ciò che ci lega al divino), la seconda come risultato di un processo di ri-connessione con il principio spirituale ad opera della divinità stessa per sua compassionevole intercessione. Analoga prospettiva la si ritrova presso molte culture sciamaniche, la malattia come effetto di un allontanamento o disconoscenza del mondo spirituale mentre all’opposto la guarigione o il benessere può essere garantito solo dal mantenimento di un’intima connessione con i propri “numi tutelari” o, in termini sciamanici, spiriti alleati o guide spirituali. La perdita o frammentazione dell’anima è, secondo questa visione, il risultato di questa sconnessione.

Alla base di questa visione c’era un principio che potremmo chiamare omeopatico (similia similibus curantur), la malattia di origine divina poteva essere guarita solo da un rimedio divino. La divina afflictio conteneva la sua diagnosi, terapia e prognosi, a condizione che venisse adottato il giusto atteggiamento nei suoi confronti ovvero che la malattia e il suo rimedio fossero affidati alla cura del medico divino. Ad evidenziare il principio omeopatico di cui prima, tante testimonianze possono essere suggerite in tal senso nel riconoscere che nella visione antica malattia e rimedio fossero la stessa cosa. La divinità che dispensava la malattia doveva essere stata prima colpita, afflitta o perseguitata dalla malattia stessa perché potesse conoscere il modo per guarirla e debellarla. Esempi in tal senso sono lo stesso Asclepio o Trofonio. “Ho trosas iasetai”, chi colpisce è anche colui che guarisce, recita l’oracolo di Apollo. Gli stessi figli di Asclepio, Macaone e Podalirio, non riuscirono a curare Telefo, ferito alla coscia sinistra da Achille, che ricevette dunque l'oracolo sopra citato. Ulisse lo interpretò così: il rimedio è la ruggine raschiata dalla punta della lancia di Chirone, con la quale Achille ferì Telefo. Il fatto che Telefo, povero e reietto, fu costretto a rifugiarsi presso i suoi ex nemici e ritrovare lì la sua guarigione ricalca per altri versi il tema che stiamo trattando. Analogamente Apuleio racconta anche che Psyche si ferì con la freccia di Cupido, procurandosi molti dolori, ma fu guarita dalla stessa freccia. La sua guarigione iniziò con una catabasi seguita da un'anabasi, la sua apoteosi si concluse con un viaggio in un mare di notte (sogno o viaggio nell’inconscio, nell’ignoto). Lo stesso potere lo si ritrova in altre divinità ed eroi, come Ercole, eroe malato e poi guarito, che dispensa malattia e al tempo stesso guarigione. Egli soffrì di epilessia (il “morbo sacro”), e venne chiamato “alexikakos” (il dissuasore del male) perché allontanò una epidemia di peste ma anche “soter” (saggio) quando liberò la terra da un'altra epidemia. Questo tema mitologico è stato ripreso in tempi più recenti da scrittori e poeti. Lo stesso Goethe nel Torquato Tasso dice “I poeti raccontano di una lancia che poteva sanare con un tocco gentile una ferita che essa stessa aveva inflitto” (Goethe, Tasso, IV); il Petrarca, nelle sue Rime, riprende questo motivo dicendo “Cosi sol d’una chiara fonte viva move ‘l dolce e l’amaro, ond’io mi pasco; una man sola mi risana e punge” (Rime, 164, 9-11).

Il potere ambivalente del pharmakon, veleno e antidoto allo stesso tempo, lo ritroviamo nelle prescrizioni che lo stesso dio Asclepio, o uno dei suoi emissari, come le figlie Igea o Panacea o Telesforo, davano all’incubante: la cura seguiva le tracce della malattia, anzi, era la malattia stessa che ne indicava la via d’uscita. La connessione tra la malattia di origine divina e la guarigione che non poteva che essere essa stessa proveniente da un intervento divino, formavano il cuore dell’arte della guarigione nel mondo antico, non solo in Grecia. Ma assieme alla medicina teurgica Ippocrate e Galeno fondarono la prima forma di medicina dove la malattia e la guarigione iniziarono ad essere viste del tutto disgiunte dall’intervento divino, sebbene un secolo dopo la morte di Ippocrate il culto di Asclepio a Cos era ancora considerato culto di stato e il bastone di Asclepio, con il serpente arrotolato attorno, figurava ancora nell’insegna della città. Anche ad Atene, ancora nel IV secolo A.C., l’archiater (il medico ufficiale) considerava l’asclepieium come il suo centro. Galeno, che proveniva da Pergamo, nell’attuale Turchia, asclepieium famoso nell’antichità secondo solo a Epidauro dove si recavano molti malati da tutta la Grecia per ricevere una guarigione dal dio attraverso l’incubazione dei sogni, ricevette la sua formazione medica proprio qui. In un sogno Asclepio guarì anche lui da una malattia mortale (un ascesso). Anche Galeno, dunque, ripresenta lo stesso mitologema, un altro dottore capace di guarire a causa della sua stessa malattia, e anch’esso non rinunciava a farsi raccontare i sogni dai suoi pazienti per le sue diagnosi. Non solo, effettuava anche operazioni indicate dai sogni (ex oneiraton) e onorava i messaggi di Asclepio circa i trattamenti da effettuare usandoli talvolta per sostenere o giustificare le sue prescrizioni mediche. In casi estremi i pazienti confermavano le prescrizioni di Galeno attraverso la loro esperienza onirica. Lo stesso Ippocrate, sebbene avesse un approccio diremmo oggi più razionalista e scientifico, dette spazio all’elemento divino nella sua guarigione, dichiarando che “il medico è anche filosofo e divino” (“ietros gar philosophos isotheos”, in Peri euschemosynes, c5).

 

L’aspetto misterico della guarigione nei sogni

La malattia e la guarigione, dunque, portavano con sé un aspetto misterico, e questo stesso aspetto era evidente nei rituali di incubazione dei sogni di guarigione negli antichi asclepieion. Anzitutto un aspetto fondamentale: quasi tutte le divinità dal potere di guarigione erano divinità ctonie, i culti venivano officiati di notte in prossimità di sorgenti o boschi, oppure in grotte o caverne. Vale per Asclepio così come per Serapide, entrambi non a caso condividono il cane e il serpente nelle loro manifestazioni teriomorfe e la cura poteva avvenire solo se ci si recava nel luogo ove la divinità si manifestava (come genius loci), sebbene la proprietà mantica oracolare di Asclepio sia fatta derivare da suo padre Apollo, dunque dio solare e della luce per eccellenza. Dai primi tempi Apollo fu il dio degli oracoli e della guarigione. Pausania lo descrive come Apollo Maleatas, capace di sconfiggere le epidemie, Eschilo lo chiama Apollo Iatromantis, ovvero colui che possiede la iatromanzia (pratiche divinatorie a scopo curativo), analogamente Aristofane (iatros kai mantis iatroman). Nella terapia magica dell’antichità la combinazione di praxis kai logos, ovvero l’uso delle mani unito alla parola, era essenziale e queste due idee le si ritrovano combinate in Apollo e in suo figlio Asclepio. La guarigione in sogno avveniva spesso tramite il tocco del dio unito a una parola sussurrata nell’orecchio del paziente in stato di sogno. Secondo i resoconti di alcuni epigrafi epidaurie del IV secolo a.C., prima di abbandonare il tempio gli ammalati che erano stati guariti dovevano versare un obolo, un tributo per la loro guarigione, gli iatra; in caso contrario, come accadde a Hermon di Taso cui era stata restituita la vista e poi tolta, il dio poteva annullare immediatamente il beneficio (Herzog, 1931, B22). Anche in tal caso, ritroviamo lo stesso principio: il dio che guariva poteva di nuovo ferire e viceversa.

Tornando all’aspetto misterico della guarigione attraverso i sogni, i misteri presuppongono la presenza di spettatori (epoptai), ovvero di coloro che testimoniano la manifestazione dell’atto misterico stesso ovvero dell’azione in atto (drōmenon) da parte di una presenza spirituale. Nel caso dell’incubazione, gli incubanti erano gli epoptēs e il drōmenon era il sogno stesso. Aristide molte volte chiama le cure di Asclepio “misteri”. Tali misteri erano naturalmente personali, nel senso più intimo del termine, il “miracolo” della guarigione avveniva all’interno della propria coscienza o nell’anima della persona. L’incubante era monos pros monon, ovvero da solo con il suo dio e poteva conversare con lui direttamente, idea che ci collega alla gnosi come conoscenza di dio (gnosis theou). Vi è una relazione tra il culto di Asclepio e i misteri eleusini. Tacito riporta che un eumolpide1 ebbe un ruolo fondamentale nel fondare il primo Serapeum. Una iscrizione a Epidauro riporta la presenza di ierofanti, ovvero di sacerdoti iniziati ai misteri Eleusini. La chiusura dell’inno orfico a Igea contiene le seguenti linee: “Ma, dea, vieni sempre soccorritrice di coloro che celebrano i misteri allontanando l’afflizione infelice delle tormentose malattie”. Una statua di Asclepio con Igea adornava il tempio di Demetra-Cora a Megalopoli, altra associazione tra Asclepio e la divinità venerata nei misteri Eleusini. Demetra phōsphoros, ovvero “colei che porta la luce”, era anch’essa accompagnata dai serpenti ed era assai venerata nell’asclepieium di Pergamo. Demetra a Eleusi era una divinità di guarigione, alcuni luoghi di culto coincidevano o si sovrapposero a quelli di Asclepio, come a Cos o nella stessa Atene. Pausania riferisce che lo stesso Asclepio fu iniziato ai misteri eleusini e nel terzo mese dell’antico anno ionico-attico (settembre-ottobre) ad Atene veniva celebrata la sua iniziazione nel suo tempio durante le Boedromie, il più grande festival dei misteri eleusini, e per questo da allora chiamate Epidauria. Da queste gloriose onorificenze riservate ad Asclepio in Atene, e in generale in tutta la Grecia, non sorprende che il suo tempio sopravvisse sino al V secolo d.C.

L’aspetto misterico, dunque, della guarigione nei sogni ad opera della divinità presenta aspetti caratteristici:

  • le divinità hanno una origine ctonia come detto e gli animali con cui si manifestano abitano nella terra o sulla terra (il serpente, il cane, il toro), ma al tempo stesso hanno una origine o una connessione col mondo superiore (Apollo padre di Asclepio, Serapide anche dio del sole);
  • esse si manifestano in particolari luoghi sacri che si aprono naturalmente alla profondità della terra, al mondo di sotto (non nel senso dato dalle religioni monoteistiche di “infernale” o “inferiore” come aggettivazione), come cave, grotte, anfratti;
  • sussiste una equazione ricorrente ctonio=fallico, il potere generativo e rigenerativo della terra e l’incubazione come processo di fecondazione sognando una nuova vita;
  • la presenza dell’elemento acqua per le abluzioni e purificazioni dei corpi e delle anime presso i templi o luoghi di cura e culto;
  • la profonda fede e accettazione verso l’irrazionale, il mistero, l’intervento divino da parte del paziente o, in generale, dell’incubante.

 

L’incubazione nei sogni

L’incubazione veniva praticata nelle grotte antiche, come ad esempio nel luogo dell’oracolo di Anfiarao a Oropo, dove i pellegrini si recavano per ricevere i responsi dall’eroe divinizzato o una guarigione, analogamente per Trofonio a Lebadea. L’associazione tra le divinità ctonie portatrici di guarigione e il fallo come portatore di vita e di generazione è ben rappresentata dalla statuetta di Telesforo, figlio di Asclepio, custodita al museo Thorvaldsen a Copenhagen. Composta da due parti separate, rimuovendo la parte superiore del busto dove si vede Telesforo vestito con il suo curioso soprabito con cappuccio (bardocucullus) appare dal bacino in su un fallo come potrebbe apparire associato a un demone priapico. Del resto, lo stesso Priapo è una divinità di guarigione e si può rilevare l’analoga relazione nella rappresentazione di Arpocrate nell’antico Egitto, i cui caratteri sessuali accentuati richiamano l'iconografia del dio itifallico Min, rispetto a Serapide e Telesforo in relazione ad Asclepio. A Pergamo il culto dei Cabiri, che comprendeva non solo i figli di Efesto ma anche diversi figli coribantici del dio Apollo, precedette l’arrivo di Asclepio e Telesforo lo troviamo qui citato in alcune iscrizioni come zoophoros, “portatore di vita, di generazione”, e come phaësimbrotos, “colui che porta la luce agli uomini mortali”. Un grande numero di tavole votive lo riproducono come un ragazzo accanto ad Asclepio vicino al letto di un malato.

Il sogno, dunque, come spazio di incontro con il divino, con le sorgenti spirituali di guarigione e trasformazione, l’immersione nel buio dell’inconscio e di ciò che nell’oscurità agisce e ferisce per aprirsi a ricevere il tocco o la parola di un dio risanatore, risale nell’antica Grecia ai tempi di Omero.

In Omero oneiros è sempre stato personificato come un essere divino alato (theios) che appare al sognatore alla testa del suo letto (hyper kephalēs) per scomparire subito di nuovo e portare il suo messaggio al di fuori dal tempo e dallo spazio. Tutto questo riporta alla conoscenza antica, consolidata e condivisa dai sognatori contemporanei, che lo spazio liminale tra il sonno e la veglia era, (ed è) il luogo favorito per incontrare gli dèi e gli spiriti. Le guarigioni nell’incubazione dei sogni avvenivano soprattutto nelle fasi del dormiveglia, e i sacerdoti dediti ad assistere i sognatori chiedevano al sognatore di raccontare i sogni appena svegli non tanto con la finalità di “analizzarli”, come faremmo noi oggi se seguissimo un approccio psicoterapeutico (la figura degli “interpreti” dei sogni, con conseguente scia di impostori e malfattori, apparve attorno ai templi ove si praticava l’incubazione solo in tempi più recenti), ma sapendo che la condivisione aiutava il sognatore a portare alla luce, alla propria consapevolezza cosciente, ciò che aveva ricevuto in sogno. La consapevolezza acquisita, con l’aiuto dei sacerdoti, permetteva al paziente di incorporare il potere terapeutico del sogno. Per Omero, i sogni vengono tutti da Zeus, sono un messaggio diretto dal padre degli dèi, ed Hermes, come loro messaggero, appare anch’esso in sogno nel ruolo di guida o mediatore (hēgētōr oneirōn). La presenza di Hermes era considerata anche in funzione di “guardiano della soglia”, colui che guidava il sognatore nel suo transito dalla veglia al sonno e viceversa. Dalla letteratura sui sogni che ci viene dall’antichità, della quale ci restano poche testimonianze scritte, emerge la conoscenza diffusa e assodata che i sogni sono prodotti e veicolati dagli dèi. In sogno, gli dèi appaiono di persona e parlano direttamente al sognatore come riportato da Cicerone nel “De divinatione” (quod ipsi dii cum dormientibus colloquantur) o da Omero stesso nell’Iliade o nell’Odissea. Teologicamente o filosoficamente questo richiama l’idea orfica di sōma-sēma, che si ritrova anche nel Fedro di Platone, ovvero che nel sonno l’anima si libera dalla sua tomba (il corpo fisico) e si apre così all’incontro e al dialogo con esseri superiori, pensiero che fu sostenuto anche dai pitagorici. Questa idea la si trova anche in Eschilo, Euripide così come in Pindaro e Senofonte. In Euripide si trova un altro interessante aspetto dei sogni che chiama “Madre Terra” (potnia Chthōn) o “Madre dei sogni dalle ali nere” (melanopterygōn meter oneirōn). Ritorna quanto citato prima circa l’origine ctonia dei sogni, in particolare quelli di guarigione, che ritroviamo nella pratica di incubazione e nel potere del serpente di Asclepio o Serapide.

Platone non ebbe una teoria sui sogni, tranne che per primo fece riferimento ad una origine animica dei sogni, o meglio alcuni di questi secondo il filosofo sono prodotti dalle differenti parti dell’anima (psyche) chiamate logistikon (la ragione), thēriōdēs (parte bestiale, istintiva) o thymoeidēs (parte spirituale dell’anima). Ne “La Repubblica”, dice che se prevalgono i sogni logistikon possono rivelarci importanti informazioni vere, ma Senofonte nella sua “Anabasi” suggerisce la necessità di un interprete in quanto una conoscenza ordinaria potrebbe non essere sufficiente alla comprensione.

Aristotele riporta la sua visione sul mondo onirico in due opuscoli contenuti in Parva Naturalia, “Sui Sogni” e “Sulla Profezia nel Sonno” (De divinatione per somnum). Dal primo emerge che per Aristotele il sogno è una affezione della facoltà sensitiva (koinon aisthētērion), ovvero si producono da sensazioni sottili che residuano nel corpo al cessare dello stato di veglia, sensazioni che abbiamo anche quando svegli ma sovrastate dal violento movimento dei sensi grossolani e dal loro conseguente rumore. Vediamo come si esprime nel trattato “Sui Sogni” (passi 459 a 10 –25 e 459 b 1 – 10): "Bisogna quindi esaminare come e in che modo si produce il sogno. Resti stabilito, e ciò è del resto evidente, che il sognare è un’affezione della facoltà sensitiva, se è vero che lo è anche il sonno, perché non ad una facoltà degli animali appartiene il sonno, a un’altra il sognare, ma alla stessa. Dell’immaginazione si è trattato nei libri Sull’Anima e si è dimostrato che la facoltà immaginativa è la stessa che la sensitiva, ma che la nozione della facoltà immaginativa è diversa da quella della facoltà sensitiva: l’immaginazione in realtà è un movimento prodotto dal senso quand’è in atto: ora il sogno par che sia un’immagine (e noi diciamo sogno l’immagine prodotta durante il sonno sia in maniera assoluta, sia in qualche maniera): è chiaro, pertanto, che il sognare appartiene alla facoltà sensitiva, e le appartiene in quanto è immaginativa.

Che cos’è il sogno e come si produce si può ottimamente determinare da ciò che capita nel sonno. I sensibili producono in noi la sensazione in rapporto a ciascun sensorio e l’affezione provocata da loro non rimane nei sensori soltanto mentre la sensazione è in atto, ma anche quand’ è passata. (…) Si deve fare una supposizione simile per l’alterazione: ciò che è riscaldato dal calore riscalda quel che gli sta accanto e così il calore si trasmette fino al principio. Di conseguenza anche nell’organo in cui si dà la sensazione deve necessariamente avvenire questo, dal momento che la sensazione in atto è, in qualche modo, una alterazione. Perciò l’impressione non è negli organi di senso solo mentre percepiscono, ma anche quando hanno cessato di percepire ed è nel profondo e sulla superficie. Ciò diventa evidente quando abbiamo di una cosa una sensazione continua: se mutiamo sensazione, l’antica impressione ci segue, come quando, ad esempio, si passa dal sole al buio: capita allora di non vedere niente, perché il movimento causato negli occhi dalla luce permane ancora. E se siamo stati a guardare molto tempo un colore, o bianco o giallo, lo stesso colore apparirà su qualunque cosa poseremo lo sguardo."

Ecco che dato che (passo 460 b 30): "Non solo mentre stiamo svegli ci sono in noi i movimenti prodotti dalle sensazioni, vengano esse dal di fuori o dal di dentro del nostro corpo, ma anche quando si produce quello stato che si chiama sonno – anzi allora appaiono di più", per Aristotele i sogni possano anticipare o predire l’insorgere di una malattia in quanto durante il sonno il sognatore è molto più sensibile ai piccoli disturbi segnalati dal corpo, e dunque un abile dottore potrebbe prevedere la malattia e di conseguenza una cura o anche la morte dalla interpretazione di questi sogni. Circa la possibilità dei sogni di predire il futuro, e in particolare di diagnosticare una malattia o indicare una prognosi, Aristotele nel suo trattato “Sulla divinazione in sonno” considera due possibilità: sogni che danno prescienza delle condizioni di salute di colui che sogna, e i sogni che producono il proprio adempimento, suggerendo a colui che sogna di svolgere determinate azioni (De divinatione per somnum, passo 463 a 4 e seguenti): "Ma allora è vero che tra i sogni alcuni sono cause, altri segni, ad esempio di quel che capita al corpo? I medici più acuti dicono che bisogna badare con molta attenzione ai sogni – ed è ragionevole che così la pensino anche coloro che, pur non avendo pratica dell’arte, ricercano e approfondiscono la verità. Gli stimoli che si producono di giorno, a meno che non siano molto grandi e forti, ci sfuggono di fronte a quelli più grandi della veglia. Nel sonno succede il contrario, perché anche i piccoli stimoli sembrano grandi. (…)

Di conseguenza, poiché gli inizi di tutte le cose sono piccoli, è chiaro che lo sono anche gli inizi delle malattie e degli altri accidenti che devono prodursi nel corpo. È evidente, quindi, che tali sintomi sono manifesti più nel sonno che nello stato di veglia. È in verità non è assurdo che talune immagini che si presentano nel sonno siano causa di azioni proprie a ciascuno di noi. (…)

Così pure è necessario che i movimenti che hanno luogo nel sonno siano spesso gli inizi delle azioni fatte poi durante il giorno, giacché anche qui l’idea di queste azioni si trova agevolata la strada delle rappresentazioni della notte."

Paradossalmente Aristotele appoggia l’idea di Diotima nell’attribuire ai demoni l’origine dei sogni e non agli dèi (theopempta). Se fossero messaggi dagli dèi, dice, essi sarebbero conferiti solo agli uomini migliori e più saggi e lo farebbero di giorno, ma così non è. Questo radicale deprezzamento dei sogni lo si ritrovò tra gli Epicurei, tra i fondatori dell’Accademia di Atene, come Carneade di Cirene, così come tra i Cinici e purtroppo ce lo ritroviamo oggi nel pensiero occidentale moderno. Vediamo come si esprime il filosofo (passi 463 b 15 seguenti e 464 a 20): "Poiché, in generale, anche alcuni animali oltre l’uomo sognano, i sogni non possono essere mandati da dio, e non esistono in vista di tale scopo: sono quindi opera demoniaca, perché la natura è demoniaca, non divina. Ed ecco la prova: uomini veramente semplici sono capaci di prevedere e hanno vividi sogni: ciò dimostra che non è dio che manda i sogni, ma tutti quelli che hanno natura ciarliera e strabiliare vedono visioni di ogni sorta. Dal momento che essi sono soggetti a stimoli numerosi e di ogni sorta, riescono ad avere casualmente visioni simili agli eventi e indovinano in questo come chi gioca a pari e dispari, perché anche a questo proposito si dice: "A furia di tirare, una volta o l’altra ce la farai": lo stesso succede qui. Non è affatto assurdo, quindi, che molti sogni non si realizzino, come non si realizzano certi sintomi che si hanno nel corpo o certi segni celesti, quelli ad esempio, che preannunciano piogge o venti. (…)

Questi impulsi producono delle immagini che permettono la previsione di quel che può capitare in tali casi. Ed è per questo che tali fenomeni si verificano negli uomini ordinari e non in quelli più saggi. Di giorno si verificherebbero anche nei saggi, se fosse dio a mandarli. Ma, com’è la cosa, è naturale che siano gli uomini ordinari a prevedere, perché il pensiero di costoro non è portato alla riflessione, ma, per così dire, è deserto e vuoto di tutto, e, una volta stimolato, è condotto secondo l’impulso stesso."

Superando la categorizzazione propria del pensiero aristotelico, si potrebbe solo avallare l’ipotesi che i sogni riflettono la nostra natura. Se siamo votati al piacere e al semplice soddisfacimento dei sensi faremo sogni di un certo tipo, se in noi albergano idee e attenzioni verso le vie dello spirito faremo sogni di un altro tipo, e magari saremmo più predisposti ad incontrare il divino e il numinoso nella vita così come nei sogni. Del resto, la vita è un sogno a occhi aperti e ciò da cui siamo attratti per risonanza o isomorfismo alla fine ci attrae e occupa la nostra coscienza di veglia così come di sogno. Pura legge dell’attrazione o il “nesso della rassomiglianza”, come lo chiamava Proclo.

Per fortuna nelle antiche stoà i sogni tornarono ad assumere un ruolo importante. Gli stoici presero in seria considerazione i sogni e le loro sorgenti, sostenendo che essi possono essere generati dagli dèi, dai demoni o dall’attività stessa dell’anima. Per quest’ultimo motivo, credevano nel potere premonitore dei sogni in quanto spazio di comunicazione intermedio tra l’anima individuale e quella dell’universo e nello stato di sogno, quando i sensi sono a riposo, i bisogni dell’anima emergono più chiaramente e dunque possiamo vedere quali messaggi ci danno per sostenerne la sua evoluzione futura. Posidonio di Apamea, filosofo stoico, disse che il divino ha tre modi per agire nei sogni degli uomini: il primo è che l’anima può vedere il futuro in virtù della sua natura divina; secondariamente l’aria è piena di anime immortali che veicolano messaggi di verità che possono penetrare e arrivare alla coscienza del sognatore attraverso i canali (poroi) dei sensi; e infine gli dèi stessi parlano ai sognatori2. Questa visione sembra sottintendere, con la sua idea di corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo, ad un ordine universale basato su una legge causale, certi segni ci lasciano percepire certe cause che condurranno a certi effetti. Questi segni sono percepiti però solo in un certo tipo di sogni (molte visioni antiche distinguono i sogni veritieri, quelli ispirati dagli dèi, da quelli ordinari nei quali sogniamo cose ordinarie). La capacità precognitiva e predittiva dei sogni viene dichiarata vera e possibile solo quando sono gli dèi a bisbigliare alle orecchie del sognatore, escludendo che vi possa essere una trasmissione telepatica, possibilità invece considerata da Democrito con la teoria dei suoi eidola. Gli atomi di Democrito, o eidola, ripresi poi dalla filosofia epicurea, hanno le qualità di un individuo, che è la traduzione latina introdotta da Cicerone nel tradurre dal greco hē atomos (l’atomo), ovvero l’aria è piena di atomi (individui) che si offrono come messaggeri tra una persona e l’altra permettendo una trasmissione telepatica. Dato che ho già commesso un anacronismo andando indietro nel tempo sino ad Democrito (460 a.C – 370 a.C), ne commetto un altro ricordando quanto Eraclito (535 a.C – 475 a.C) disse in merito alla possibilità offerta al sognatore di entrare nel “suo mondo” mitico e vedere cosa accade nella sua cosmogonia3, concetto simile ripreso molto più avanti da Jung sul significato dei sogni riportandoli a un livello soggettivo.

 

La guarigione nei sogni nella Grecia antica

Per vedere l’approccio alla guarigione attraverso i sogni nella Grecia dell’antichità occorre tornare indietro nel V secolo A.C. dove troviamo uno scrittore ippocratico alle prese con il problema dei sogni nel trattato Peri enypniōn nel quale si dice che l’anima nello stato di veglia è occupata a svolgere le funzioni corporee mentre nel sonno e nei sogni può svincolarsi da questo genere di preoccupazioni dato che i nostri sensi fisici sono sospesi. Mentre il corpo dorme, l’anima, che è sempre sveglia, ha tutte le funzioni psicologiche e fisiologiche a sua disposizione e pertanto può dispensare il sognatore dei suoi reali bisogni. Lo stesso Ippocrate ammise che nei sogni possiamo ricevere messaggi o influenze divine che ci permettono di sapere cose altrimenti non conoscibili. Riguardo alla capacità diagnostica dei sogni di predire malattie o squilibri del corpo o dell’anima, Ippocrate pensava che l’anima potesse percepire le cause di una malattia attraverso immagini durante il sonno. Si tratta, ovviamente, di sogni ispirati dal divino ma di fatto con questa sentenza Ippocrate dichiara che la salute di un individuo, o la sua malattia, può essere riflessa nei sogni. Sostenne che se il sogno mostra le stesse cose ripetitivamente, ovvero le cose ordinarie che facciamo più o meno tutti i giorni, allora il corpo è in salute, se invece compaiono scenari nuovi, magari guerre, conflitti, allora si sta preannunciando qualche disordine nel corpo. Se per esempio sogniamo il sole e la luna esattamente come appaiono in natura, allora è un buon segnale che tutto va bene, altrimenti tramite la relazione macro-microcosmo qualcosa corrispondente al sole o alla luna dentro di noi non funziona bene. Procedendo con analoghe similitudini simboliche, sorgenti o pozzi corrispondono al nostro sistema uropoietico, i fiumi al sistema circolatorio, se sono in secca probabile segno di anemia, se sono dilaganti segno di ipertonia. Lo stesso tipo di pensiero analogico lo ritroviamo in Galeno.

Non troviamo di fatto grandi novità nelle teorie dei sogni di Ippocrate e Galeno rispetto a Platone, Aristotele e Democrito. Platone e Aristotele avevano già avanzato l’idea che i sogni potessero sgorgare dalla percezione residuale dei movimenti durante il sonno, movimenti interni che generano immagini oniriche basati sulla percezione interiore. Aristotele poteva attribuire a differenti cause le inibizioni, stimolazioni, sovrapposizioni o interferenze provocati questi movimenti interiori, ma gli uomini di medicina potevano attingere a questa teoria escludendo ogni altra sorgente che li potesse produrre, ad esempio una fonte divina. I sogni iniziarono ad escludere gradualmente la possibilità di essere prodotti da sorgenti spirituali, trascendenti, si iniziò a guardare ai sogni come fatti oggettivi, o meglio, soggettivi, come fatti riguardanti il solo sognatore. L’influenza razionalistica iniziò a porre le sue limitazioni e i suoi divieti al punto che in precedenza non si sarebbe potuto dire nella maniera più assoluta, come in italiano diciamo abitualmente, “ho fatto un sogno”, in quanto non siamo noi a produrre i sogni ma essi erano ricevuti da altrove. Dall’essere visti in sogno (da una entità o una sorgente spirituale, episkopein) si passa al guardare un sogno (enypnion idein).

Filone di Alessandria, noto come Filone l’Ebreo, (Alessandria d'Egitto, 20 a.C. circa – 45 d.C. circa), nonostante il cristianesimo iniziava a diffondersi con la sua esclusività monoteistica e il suo credo, recuperò sul finire dell’età ellenistica la visione antica considerando che in certe categorie di sogni, come i sogni profetici, possano essere ispirati dal divino, altri sono prodotti da un disallineamento della mente del sognatore rispetto al suo disegno divino, altri sorgono puramente dalle emozioni psichiche provocati dal potere dell’entusiasmo. L’aspetto irrazionale dei sogni venne dunque riconsiderato da questo primo filosofo cristiano, tendenza che si protrarrà durante l’Impero Romano. La precedente distinzione omerica dei sogni riportata da Virgilio e nell’Odissea tra i sogni falsi, quelli che passano dalla porta d’avorio, e quelli veri, quelli che passano dalla porta di corno, generò sempre grande confusione nell’antichità, anche se la ferma distinzione tra sogni veri o falsi basata su questa dicotomia costrinse le menti antiche a prendere sempre in considerazione i sogni e a mai escludere la possibilità di un intervento trascendentale. Sfortunatamente i libri sui sogni dell’antichità sono andati perduti, ci restano i testi di Artemidoro di Daldi (anche se nacque a Efeso), con il suo “Il libro dei sogni” (edito in italiano da Adelphi), Macrobio e Sinesio di Cirene, con il suo De somniis (“Il libro dei sogni”, edito in italiano da Archinto). Artemidoro ci introduce con il suo libro dei sogni la visione antica del sogno come porta di comunicazione con il divino ma anche come materiale generato dal sognatore stesso e correlato alla sua storia personale. Collezionò più di 3000 sogni cercando di rintracciarne elementi comuni per poterne dedurre significati e interpretazioni. Rispetto a Artemidoro, Macrobio e Sinesio erano uomini di cultura molto meno influenzati dalla letteratura dei sogni antica, ma essi erano più filosofi scolastici che non praticanti l’arte del sognare. Macrobio era un iniziato ai misteri neo-platonici, Sinesio un vescovo di chiesa (con moglie e figlio) sebbene non sia stato mai battezzato. Sinesio sostenne che il suo libro (Peri enypniōn) lo scrisse in una notte in quanto dettato da Dio, nei sogni disse che ritroviamo le vere profezie perché rivolte sia al povero che al ricco. I sogni sorgono dall’anima e contengono cose che potranno accadere, immagini che riflettono la “fantasia” che è un tipo di vita che scorre a un livello più profondo. Qui i nostri organi sensibili sono più fini, più divini, dunque più affidabili dei nostri (ordinari), ma la loro percezione è offuscata e per questo i sogni necessitano di interpretazione. Sinesio non da regole generali per l’interpretazione ma raccomanda fortemente, e direi io saggiamente, di tenere “libri notturni” invece di stupidi diari.

 

Il contributo di Artemidoro di Daldi

Macrobio fece una categorizzazione dei sogni nel suo “Somnium Scipionis libri duo”4 vicina a quella di Artemidoro. Da questo testo emerge che il sognatore non è solo colui che può accedere alla propria psiche ma è anche il vero iniziato ai misteri della sua anima terminando il suo libro con “deum te esse scito” (Dio dunque ti conosce). Il lavoro di Artemidoro, con i suoi cinque libri sulla Oneirocritica5, ci fornisce interessanti spunti di riflessione, alla luce degli attuali approcci sull’arte del sognare, segnandone marcatamente le differenze:

  • Di tutti i suoi oltre tremila sogni che ha investigato nelle vite dei sognatori così come gli sviluppi conseguiti dall’aver ricevuto un sogno rivelatore, la maggior parte di questi sogni contemplano un intervento divino, una epifania.
  • Da ciò ne consegue che quando una divinità appare con i suoi attributi (o i suoi noti emissari) allora il sogno può essere interpretato favorevolmente. Il minimo difetto in questo senso, tuttavia, rende è il significato del sogno inquietante o incerto. Per gli aborigeni australiani, cambiando per un attimo riferimento culturale, l’apparizione di animali guida o di potere che manifestano comportamenti “strani” viene sempre interpretato sfavorevolmente. Anche per i greci, gli dèi che appaiono con un costume o addobbati in maniera erronea possono facilmente mentire.
  • In generale, si ritrova spesso in Artemidoro le comuni funzioni dell’antica oneiromanteia, tutti i sogni sono giudicati soprattutto nel loro aspetto mantico ovvero come sogni premonitori di un evento futuro.
  • I sogni possono rivelarsi favorevoli o sfavorevoli.
  • Il dio particolare del sognatore deve obbedire alla regola del suum cuique, ad esempio le divinità femminili erano considerate più appropriate alle donne che per gli uomini.
  • Gli dèi possono apparire solo attraverso i loro attributi (pars pro toto), che è un'altra ragione per la quale gli interpreti dovevano essere molto informati sulla mitologia.
  • Gli dèi possono fare prescrizioni, anche mediche, in caso di malattia fisica. Queste prescrizioni erano molto semplici e non necessitavano di interpretazioni. Gli dèi parlavano per enigmi in modo da costringere il sognatore a riflettere sul sogno.
  • Ci sono due tipi di sogni: theorematikoi e allegorikoi, potremo tradurli in sogni letterali o simbolici. I primi corrispondono esattamente la realtà del sognatore e dunque dopo averli sognati vengono vissuti tale quale dal sognatore; i secondi hanno un significato più profondo, il loro linguaggio enigmatico presuppone che la loro realizzazione richieda un tempo più lungo o attengono a un livello differente dalla realtà fisica.
  • Ci sono sogni che vengono dall’interno e sogni che vengono dall’esterno. Tutti i sogni contengono elementi inaspettati appartengono alla seconda categoria, dato che essi sono inviati dagli dèi (theopempton).

Tra le migliaia di sogni considerati da Artemidoro, si trovano interessanti elementi ricorrenti nei sogni da lui riportati che trovano una certa corrispondenza con le relazioni simboliche riprese anche dai moderni approcci al sognare.

  • Ad esempio la corrispondenza tra i lavoro, denaro e business con la madre, perché da essa deriva il nostro nutrimento primario dalla nascita; la testa a rappresentare ciò che è in alto ma anche il capo o il padre; i piedi gli schiavi o ciò che c’è in basso; la mano destra il padre, figlio, amico o fratello, la sinistra il femminile, madre, donna, figlia o sorella; pudendum (latinismo che significa “ciò di cui si deve provare vergogna”, in gergo antico sono gli organi genitali) i genitori, la moglie, i figli o i parenti.
  • Artemidoro identifica sei elementi (stoicheia) che possono essere trovati in sogno: la natura, la legge, le preferenze o attitudini, le nostre arti professionali, le arti e il nome. Tutto quanto in sogno procede in armonia con la sua natura è un buon segnale, ciò che devia in un modo o in un altro è un brutto presagio.
  • Per interpretare correttamente un sogno, occorre conoscere tutto sulla vita del sognatore (anamnesi) e la situazione o contesto in cui vive o del sogno. Se necessario, occorre cercare informazioni da altri, suoi conoscenti ad esempio, per fare una anamnesi oggettiva.
  • Occorre conoscere inoltre il carattere del sognatore, il suo stato d’animo attuale.
  • Occorre considerare sogni interi, i frammenti non sono da interpretare6.
  • Devi essere familiare con la cultura e le usanze del sognatore (qui Artemidoro fa riferimento a quello che oggi chiamiamo “sogni culturali”).
  • Conoscere l’etimologia, deve essere sempre usata soprattutto in caso di nomi propri (in Grecia se si sognava qualcuno che si chiamava Eutychos o a Roma Felix era un buon segno in quanto entrambi i nomi significano “felice”).
  • I sogni possono essere “polari” o “ambivalenti”. Questa distinzione Artemidoro la fa anche sulla base di considerazioni culturali e cultuali applicate nella civiltà dell’epoca.

Alcuni esempi:

  • Sognare un matrimonio può essere ambivalente: se un malato sogna di sposare una vergine preannuncia la sua morte, poiché a chi si sposa spettavano gli stessi riti riservati ai morti. Se invece chi sta intraprendendo qualcosa di nuovo, un progetto o altro, indica che raggiungerà i suoi scopi;
  • Sognare di avere le orecchie d’asino è un buon presagio per i filosofi perché l’asino non ascolterà e lascerà andare le cose facilmente, mentre per le altre persone porta schiavitù e miseria;
  • Fare un bagno, anticamente si faceva dopo una giornata di duro lavoro, e dunque indicava fatiche, sudore e lacrime; successivamente diventò un segno di salute e benessere e di conseguenza un buon presagio;
  • Dormire in un tempio (o in una chiesa) indica la cura del malato o una malattia per chi è in salute;
  • Sognare l’oro è un buon presagio generalmente, ma se un uomo indossa un braccialetto d’oro segnala l’opposto;
  • Un delfino in acqua è un buon presagio, fuori dall’acqua un cattivo presagio;
  • Nel caso 67 del libro IV “L’esercizio per intendere casi simili”, Artemidoro fa l’esempio di una donna incinta che sognò di aver generato un serpente. A seconda delle condizioni di vita della donna, del ceto sociale o della famiglia di provenienza (Artemidoro riporta sette casi differenti a partire da questo sogno) la conclusione (apobasis) può essere molto diversa;
  • Le persone semplici tendono a tradurre i sogni più letteralmente di quelle acculturate che tendono a trasferirne l’interpretazione sul piano simbolico. Questa considerazione di Artemidoro vale ancor oggi, e accomuna persone semplici e “letterate”: quando sogniamo qualcosa che non ci piace tendiamo a portare il sogno su un piano simbolico (un incidente è di sicuro un blocco dell’anima, la nostra morte è di sicuro una morte iniziatica, e cosi via..). Come suggerisce anche Sofocle, gli uomini hanno sogni piacevoli quando vivono in condizioni spiacevoli. Spiegando questa ambivalenza, Artedimidoro semplicemente evidenzia che i fatti stessi della vita sono ambivalenti. Al tempo stesso sul finale del paragrafo ove parla della isopsefia7 (vedi 24 libro IV), ci dice un qualcosa di altrettanto interessante ovvero che ciò che è simboleggiato da una cosa diviene a sua volta simbolo della cosa stessa, dalla quale è simboleggiato. Una donna sognò di avere male agli occhi e poco dopo i suoi figli si ammalarono; un'altra donna sognò i suoi figli ammalati e le venne male agli occhi. Uno che aveva sognato che suo padre era ammalato soffrì di male al capo (come detto in precedenza, il capo è simbolo del padre).

“Un uomo non sognerà qualcosa che non ha pensato nemmeno per un momento”, suggerisce Artemidoro. Questa verità la possiamo esprimere differentemente dicendo che ciò che probabilmente ricordiamo dai nostri sogni e che siamo in grado di utilizzare è relazionato con il nostro livello di conoscenza e di comprensione della vita di veglia.

Artemidoro acconsente nel chiedere agli dèi un aiuto nel comprendere attraverso i sogni cosa sta accadendo dentro o attorno a noi ma ammonisce a non porre agli dèi domande inopportune o indebite. E se la risposta viene concessa, non dobbiamo dimenticare di fare un sacrificio e ringraziare! Nell’arte dell’interpretazione dei sogni suggerisce di sintetizzare tutti questi principi e di non dimenticare di adattare il nostro verdetto alla personalità del sognatore prima di dire la nostra (respicere finem). Molti sogni restano non interpretati fino a quando la sua apobasi non sia conosciuta, ovvero sino a quando non si siano manifestati. Artemidoro ammonisce infine agli interpreti dei sogni di trattenersi nella loro analisi a metterci troppo della propria conoscenza, soprattutto se non in possesso di tutte le informazioni necessarie sulla vita del sognatore, magari per impressionare i clienti o fingersi saggi. Un ammonimento che vale ancor oggi.

 

Camminare assieme ai sogni con la sincronicità

I “vecchi” dèi sono ancora vivi e camminano con noi aiutandoci a districarci tra le oscure trame di vita. Essi fanno capolino non solo nei sogni, come lo intendiamo oggi ovvero quando dormiamo, ma anche nei nostri sogni diurni.  Si tratta di notare le rime e le assonanze che risuonano in un giorno o in un anno, si tratta di saper osservare le somiglianze, capacità che secondo Artemidoro, è fondamentale per un interprete dei sogni. Si tratta di riconoscere uno schema ricorrente e di percepire un campo di eventi, per notare, come dicono i cinesi, che “ci sono cose che amano accadere assieme”. È da molto tempo che sono consapevole che vivere secondo la sincronicità significa molto di più che limitarsi a ricevere messaggi.

Gli sciamani sanno che tutto ci parla, le pietre, le piante, un pesce, e che ciascuno è in grado di orientarsi nella sincronicità se riesce a prestare attenzione ai suoi messaggi. Si tratta semplicemente di mettersi in ascolto della terra che parla, come dicono gli aborigeni australiani, della nostra anima che ci parla per esprimere i suoi più reconditi desideri, degli antichi dèi o delle nostre sacre sorgenti oniriche che non smettono mai di parlarci. Possiamo farlo non solo osservando e tenendo traccia dei nostri sogni ma anche passeggiando in natura o in luoghi particolari. Ma anche per strada, un giorno qualsiasi, se vogliamo prestare attenzione agli indizi che il mondo ci offre. Viviamo in una foresta di simboli, disse Baudelaire, e il simbolo è ciò che costruisce un ponte tra il noto e l’ignoto.

Baudelaire nella poesia “Corrispondenze”, dice che camminiamo in una foresta di simboli viventi che ci guardano costantemente:

La Natura è un tempio dove incerte parole

mormorano pilastri che sono vivi,

una foresta di simboli che l'uomo

attraversa nei raggi dei loro sguardi familiari.

Come echi che a lungo e da lontano

tendono a un'unità profonda e buia

grande come le tenebre o la luce

i suoni rispondono ai colori, i colori ai profumi.

Profumi freschi come la pelle d'un bambino

vellutati come l'oboe e verdi come i prati,

altri d'una corrotta, trionfante ricchezza

che tende a propagarsi senza fine- così

l'ambra e il muschio, l'incenso e il benzoino

a commentare le dolcezze estreme dello spirito e dei sensi.

 

Se tracciate la mappa dei vostri sogni presto realizzerete che state osservando la geografia dell’animo umano e potrete diventare therapeutes di voi stessi, ovvero osservanti del culto della vostra anima e degli emissari che in sogno, così come nella vita di veglia, vi indicano la strada per la vostra guarigione ed evoluzione.

 

 

Note

  1. Gli Eumolpidi erano una famiglia di sacerdoti di Eleusi che mantennero i Misteri Eleusini durante l'era ellenica. Come ierofanti, resero popolare il culto e permisero a molti altri di essere iniziati ai segreti di Demetra e Persefone.
  2. Plutarco, “De placitis philosophorum” v 2; Quaestiones conviviales viii, 10.2
  3. Eraclito, frammento 89 D, “tois egrēgorosin hena kai koinon kosmon einai, tōn de koimōmenōn hekaston eis idion apostrephesthai”, ovvero da svegli abbiamo un solo mondo e uno in comune, ma quando dormiamo ciascuno vira da questo per entrare nel suo proprio mondo.
  4. Cicerone, De re publica, VI.
  5. Pubblicati in un'unica raccolta in italiano da Adelphi, vedi Artemidoro, “Il libro dei sogni”, Edizioni Adelphi 1975.
  6. Su questo aspetto, attualmente invece si consiglia di non trascurare i frammenti, lavorando su un singolo frammento residuale nella memoria onirica si può ricostruire altre parti del sogno o può costituire un portale per rientrare nel sogno medesimo.
  7. I greci indicavano assieme alle lettere dell’alfabeto anche i numeri. L’isopsefia si fonda sul principio che due parole siano equivalenti quando i valori numerici ottenuti sommando le lettere una ad una e dell’altra sono uguali. Artemidoro riporta l’esempio che sognare una vecchia è un simbolo di morte in quanto ‘vecchia’ in greco antico si dice γραῦς, che equivale a 3+100+1+400+200=704 esattamente come ‘sepoltura’.

 

Note Bibliografiche

  • Aristide, “Discorsi Sacri” – Adelphi, 2011
  • Sinesio di Cirene, “Il libro dei sogni” – Archinto, 2010
  • Artemidoro, “Il libro dei sogni” – Adelphi, 1975
  • Carl Alfred Meier, “Il sogno come terapia”, Edizioni Mediterranee 1987
  • Daniela Rigato, “Gli dèi che guariscono: Asclepio e gli altri”, Pàtron Editore 2013
  • L. Bonuzzi, “L’epistemologia del sogno da Asclepio ad Aristotele”, in “Verona Medica” 41, 1, 2006, pp. 33-37.
  • Daniel Bustos, “Le pratiche di incubazione nell’antica Grecia”, monografia Centro Studi - Attigliano, Marzo 2013
  • G. Cambiano, “Democrito e i sogni”, in Democrito e l’Atomismo antico, “Atti del Convegno Internazionale, Catania 18-21 aprile 1979” a cura di F. Romano, Università degli Studi, Catania 1980, pp. 437-450.
  • Giulio Guidorizzi, “Il compagno dell’anima – i greci e il sogno”, Raffaello Cortina Editore, 2013.
  • Pausania, Guida della Grecia, libro II.
  • Valentina Gazzaniga, “La medicina antica”, Carocci Editore 2018
  • Veronique Boudon-Millot, “Galeno di Pergamo”, Carocci Editore 2020
  • E. dal Covolo, G. Sfameni Gasparro, “Cristo e Asclepio – Culti terapeutici e taumaturgici nel mondo mediterraneo antico fra cristiani e pagani”, Atti del convegno internazionale Accademia Studi mediterranei, Agrigento 20-21 Novembre 2006, LAS Roma
  • Ernesto De Miro, Giulia Sfameni Gasparro, Valentina Calì, “Il culto di Asclepio nell’area mediterranea”, Gangemi editore, 2009
  • Massimo Teodorani, “Sincronicità” – Macro Edizioni
  • F.David Peat, “Sincronicità – Un connubio tra materia e psiche” – Edizioni Magi
  • C.G.Jung, “L’analisi dei sogni, Gli archetipi dell’inconscio, La Sincronicità”, Bollati Boringhieri
  • C.G.Jung, “Il libro rosso”, Bollati Boringhieri
  • C.G.Jung, “Psicologia e Alchimia”, Bollati Boringhieri
  • Marie-Louise von Franz, “Il mondo dei sogni” – Red edizioni
  • Marie-Louise von Franz, “Alchimia” – Bollati Boringhieri
  • Gary Lachman, “Jung il mistico” – Mediterranee
  • Jung e Pauli, “Il carteggio originale: l’incontro tra psiche e materia” – Moretti e Vitali
  • C.Michael Smith, “Jung e lo sciamanesimo” – Edizioni Amrita
  • W.Pauli, “Psiche e Natura” - Adelphi
  • S.Tagliagambe, A.Malinconico, “Pauli e Jung – Un confronto su materia e psiche” – Raffaello Cortina Editore
  • Gabriele Guerini Rocco, “Il linguaggio occulto dei sogni”, Anima Edizioni
  • Jennifer Dumpert, “I Sogni liminali – Esplorare la coscienza ai confini del sonno”, Edizioni Il Punto d’Incontro
  • Robert Moss, "Il ragazzo che tornò dall'aldilà", Ediz. Oscar Mondadori
  • Robert Moss, "Storia segreta dei Sogni", Ediz. Castelvecchi
  • Carlos Castaneda, “L'arte di sognare” - Edizioni Rizzoli oppure BUR

 

Testi in lingua inglese

  • Emma J.Edelstein, Ludwig Edelstein, “Asclepius, collection and interpretation of the Testimonies”, the Johns Hopkins University Press
  • Andreas Mavromatis, “Hypnagogia – The Unique state of consciousness between wakefulness and sleep” . Thyrsos Press
  • Ryan Hurd, “Sleep Paralysis – A guide to Hypnagogic Visions & Visitors of the Night” – Hyena Press
  • Clare R.Johnson, “The Art of transforming nightmares”, Llewellyn Publications
  • Wendy Doniger O’Flaherty, “Dreams, Illusion and Other Realities”, University of Chicago Press
  • Edward Tick, “The Practice of Dream Healing”, Quest Books
  • Richard L.Kagan, “Lucrecia’s Dreams – Politics and prophecy in sixteenths century Spain” – California
  • Robert Moss “Active Dreaming”, New World Library (inglese)
  • Robert Moss “Dreaming the soul back home”, New World Library (inglese)
  • Robert Moss “The three only things – tapping the power of dreams, coincidence and imagination”, New World Library (inglese)
  • Robert Moss “Dreaming True”, Pocket Books (inglese)
  • Robert Moss “Conscious Dreaming, A spiritual path for everyday life”, Three River Press (inglese)
  • Robert Moss “Dreamways of the Iroquois – Honoring the secret wishes of the soul”, Destiny Books  (inglese)
  • Robert Moss, "Mysterious Realities", New World Library
  • Robert Moss “Dreamgates – Exploring the worlds of Soul, Imagination, and Life Beyond Death
  • Robert Moss, “Sidewalk Oracles” – New World Library
  • Wanda Easter Burch, “She who dreams – A Journey into healing through Dreamwork” – New World Library

 

Articoli pubblicati nel presente sito sul tema sogni e guarigione

 

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