Sognare con Palulukon – l’arte del sognare tra gli Hopi per chiamare la pioggia - di Luciano Silva
L'importanza dei sogni tra gli Hopi, l'incontro con lo Spirito dell'Acqua e la Danza del Serpente
03/05/2024
Nella foto, la danza cerimoniale del serpente
Gli Hopi sono una popolazione indiana del sud-ovest americano la cui riserva oggi si trova in Arizona all’interno della grande nazione Navajo. Visitai questa zona qualche anno fa e fu interessante esplorare la zona desertica ove emergono ancor oggi le antiche kivas, delle abitazioni costruite in adobe, di forma circolare, che venivano usate sia a scopi religiosi che sociali, talvolta messe in relazione con le pit-house, le case seminterrate a forma circolare dei Popoli ancestrali (Anasazi) da cui si suppone discendano i Pueblo. Nel pavimento del Kiva veniva realizzato un piccolo foro (detto sípapu in lingua Hopi) che stava ad indicare il luogo simbolico di origine della tribù ma noi supponiamo che potesse essere usato per i loro viaggi sciamanici nel Mondo Inferiore di cui restano numerose testimonianze in riferimento alla loro cosmologia.
La loro economia si basava essenzialmente sulla coltivazione del mais, della zucca, dei fagioli e del melone. In base alle testimonianze archeologiche, durante il periodo Pueblo IV che va dal 1300 sino all'arrivo degli spagnoli nel 1598, alcune tribù dell'antico popolo degli Anasazi abbandonarono il loro territorio e scesero dal nord verso il sud per unirsi agli indiani Hopi e agli Zuni. L'architettura dei villaggi Hopi ricorda i pueblos dell'antica cultura degli Anasazi. La cultura Hopi è simile a quella Pueblo e anche i loro villaggi sono costruiti come quelli dei Pueblo, cioè con abitazioni che possono raggiungere i cinque piani. Il tetto delle kivas, a forma di cupola, rappresenta la volta stellata, il cielo, e anch’essa simbolicamente dava agli Hopi la possibilità di raggiungere in sogno o con un viaggio sciamanico il mondo superiore. Prima di esplorare la relazione tra gli Hopi e l’arte del sognare, e in particolare come in sogno entrassero in contatto con le loro divinità tra le quali qui ci concentreremo su Palulukon, il Serpente d’Acqua, è opportuno accennare agli aspetti fondamentali della loro concezione della vita e dell’uomo, concezione che condiziona tutta la loro struttura sociale e le relative pratiche religiose e cultuali.
Il “Mundus imaginalis” degli Hopi
Prendendo a prestito il concetto di “mundus imaginalis”, introdotto da Henry Corbin in riferimento al sognare presente nel misticismo islamico e sufi1, penso che si possa altrettanto applicare all’esperienza onirica degli Hopi, così come ad altre popolazioni indigene di sognatori, ovvero di come tutte le loro cerimonie religiose e racconti mitici siano ricchi di rappresentazioni immaginarie il cui linguaggio metaforico e simbolico ben si presta e direi favorisce la loro incubazione onirica. Le danze, i costumi colorati, il suono dei tamburi e il ritmo graziato e concentrato dei danzatori nelle loro cerimonie religiose, provocano facilmente l’entrata della psiche in stati ipnotici e sognanti nei quali i partecipanti realmente entrano in contatto con gli spiriti e le divinità, esperienze spirituali profonde e suggestive che vanno poi a popolare lo spazio dei sogni degli Hopi dall’età infantile sino alla morte.
L’esperienza onirica degli Hopi possiamo riassumerla circoscritta all’interno di tre aspetti: l’emergere di simboli universali, diremmo noi archetipici, perlopiù inconsci in riferimento alla loro cosmologia; sogni “personali” ovvero dipendenti dallo stato del sognatore al momento del sogno, non solo individuali ma anche in relazione ad aspetti sociali; la relazione tra i sogni e gli spiriti e divinità, in particolare ciò che attiene il proprio rapporto personale ma anche della comunità nell’osservanza dei rituali e cerimonie tradizionali in loro onore. In particolare, qui ci concentreremo su quest’ultimo aspetto dell’esperienza onirica degli Hopi, ovvero come i sognatori entrano in contatto con una delle divinità principali del loro pantheon religioso, il Serpente d’Acqua (Palulukon), ai fini di invocare la pioggia nei periodi di siccità ma anche a scopo apotropaico, dato che Palulukon è uno spirito della natura e un trattamento inadeguato nei suoi confronti può provocare numerosi disastri naturali, inclusi terremoti, inondazioni e temporali. Si ritiene che la Terra poggi sul dorso di due Palulukon che galleggiano nell'Oceano Cosmico. Quando si stancano, o quando altri Palulukon vengono maltrattati, i due Palulukon che sostengono il mondo si ribaltano, provocando terremoti e talvolta bloccando l'acqua delle sorgenti. I Palulokon sono considerati Grandi Serpenti, simili o imparentati con i Koloowisi degli Zuni del Nord America. In un ambiente desertico e arido, il mantenimento di un rapporto di sacra reciprocità ed equilibrio tra gli umani e gli spiriti della natura diventa fondamentale per la sopravvivenza stessa della comunità. Come per tutte le popolazioni indigene, siano esse di cacciatori e/o di agricoltori, il mantenimento di un rapporto di rispetto e di equilibrio con le forze della Natura assume un ruolo fondamentale all’interno delle pratiche cultuali e religiose e, di conseguenza, ne determina talvolta le regole sociali e comunitarie. Il rapporto con queste forze non è e non può essere solo individuale: lo stato di trascuratezza o, peggio, di non rispetto delle norme o procedure cerimoniali da parte di un singolo individuo potrebbe mettere a rischio la vita dell’intera comunità. Tra queste popolazioni, così come in altre che vivono a stretto contatto e dipendenza dalla natura, la vita si svolge all’interno di nuclei familiari molto allargati dove le donne assumono un ruolo fondamentale. I bambini vengono svezzati dalla propria madre ma poi si trovano a vivere costantemente assieme nella stessa casa ad altre madri, sorelle, zie, molte mani che li sostengono, molti volti che sorridono a loro, iniziano a conoscere il cibo solido che viene messo nella loro bocca non prima di essere masticato dai vari membri della famiglia. Essi non vengono messi a dormire e sognare in una “stanza tutta per loro”, ma ogni camera è affollata da membri di ogni età, non solo la madre e la nonna ma anche altri adulti. Tutto, o quasi, viene svolto in ambito comunitario, sognare compreso.
Lo sviluppo del sé non è concentrato, come nelle culture moderne occidentali, nell’acquisire il più possibile la propria individualità e indipendenza, al contrario, qui viene insegnato che questo è parte di un sé più ampio, il sé del clan, del gruppo, passato, presente e futuro. La soddisfazione e la crescita personale deve essere ricercata all’interno di sé sessi e della comunità e non al di fuori, tutto ciò che serve conoscere ed esperire è già presente all’interno dei loro miti e pratiche religiose. Invece che stimolare dunque l’indipendenza e la “libertà” dei giovani (come si tende a fare oggigiorno nelle civiltà moderne egocentriche, additandolo come motivo di vanto ed emancipazione) si valorizzano i legami con la tradizione dove ciascuno gioca un ruolo importante per la sopravvivenza della comunità, dove ciascuno può trovare soddisfazione all’interno e la propria libertà nel rispetto dei legami e delle osservanze religiose e sociali. Data la primaria preoccupazione nel garantire un buon raccolto soprattutto nella stagione secca, l’enfasi è posta sul rispetto delle osservanze religiose e sulle cerimonie propiziatorie che ciclicamente vengono svolte per invocare gli spiriti della Natura, e in particolare Palulokon, affinché possa garantire la pioggia o proteggere la terra da terremoti, alluvioni o temporali. Sebbene il Serpente d’Acqua sia abbastanza diffuso nelle culture e nei sogni degli indiani d’America, tra gli Hopi assume un ruolo centrale nelle loro pratiche cerimoniali. Ma prima di vedere la relazione spirituale con questa entità, in particolare nei sogni, e di come tramite i sogni gli Hopi abbiamo sviluppato una conoscenza sui rituali e cerimonie per rapportarsi con gli elementi e le forze del tempo atmosferico, delle quali il Serpente d’Acqua è veicolo, occorre fare chiarezza sull’esperienza onirica e sulla psiche di questo popolo.
L’universo degli indiani Hopi non può essere ricondotto alla nostra visione del mondo moderna basata su una descrizione della realtà, dentro e fuori di noi, composta da oggetti fisici sottoposti a misurazione o sperimenti scientifici. Nel nostro mondo intellettualizzato viene escluso ogni aspetto dell’essere che non possa essere rappresentato da elementi fisici e dunque concettualmente riducibile a oggetti che possano così essere compresi dalla nostra psiche oggettivizzata e identificati dal nostro linguaggio. Molto nell’esperienza umana, compresa quella onirica, si riempie di strutture concettuali che sono state verbalizzate e inserite in un linguaggio che ci appartiene e che inevitabilmente proiettiamo nel nostro microcosmo. Gli Hopi giustamente dicono che gli uomini intellettuali che conoscono solo il linguaggio della ragione si fermano imbarazzati sulla soglia di ciò che non possono rappresentare nel loro mondo fatto di oggetti n’è sono di conseguenza in grado di verbalizzarne l’esperienza. Tutto ciò che non rientra nella loro rete di proposizioni scientifiche dal quale è stato creata anche una idea surrealistica di tempo e spazio è misterioso, cade al di fuori della loro percezione tenuta a stretta sorveglianza da un linguaggio che non ha parole per esprimerle e dunque la mente non può neanche immaginarle. Se pensiamo a un tavolo, la prima cosa che fa la nostra mente è immaginare un tavolo, ci viene subito in mente l’immagine di un tavolo. Ma se per qualcuno il tavolo fosse un oggetto sconosciuto, la parola tavolo non provocherebbe alcuna creazione immaginale di questo oggetto e dunque rimane al di fuori della nostra percezione, non ne possiamo fare esperienza n’è dentro n’è fuori di noi. Finiremmo per non percepirlo neanche il tavolo, resta al di fuori della nostra descrizione del mondo. Come disse Eliade, la religione inizia laddove la relazione umana con il sacro viene assunta dall’uomo nel suo intero essere e se diventa una esperienza esistenziale nella sua totalità. Per gli Hopi, l’aspetto vitale, l’energia vitale a cui danno il nome di Corpo del Respiro (hikwsi), che può essere relazionato all’anima o al suo corpo sottile, non è confinato nella manifestazione mortale e neanche nella vita oltre la morte, nel soggiorno nel Mondo Superiore. Esso può essere proiettato attraverso il pensiero, la preghiera e i sogni e, di conseguenza, può interagire con persone e cose anche a distanza. È sia personale che universale al tempo stesso, in alcuni contesti è parte di ‘a’ne himu (the Mighty Something, Qualcosa di Potente o di Vero, forse paragonabile al concetto di “Grande Mistero” del quale gli Hopi faticano a parlarne). E’ tramite il Corpo del Respiro, concepito in tal caso come corpo di sogno, che gli Hopi entrano in contatto con gli spiriti non solo in sogno ma anche nei loro viaggi sciamanici nel mondo superiore e inferiore. La cosmologia Hopi rappresenta la realtà in due mondi, il Mondo Superiore che noi conosciamo attraverso esperienze oggettive, e il Mondo Inferiore che rappresenta un serbatoio infinito per gli esseri, maschili e femminili, gli spiriti e tutto ciò che gli Hopi possono conoscere attraverso il loro Corpo del Respiro. Questa cosmologia viene ripresa costantemente nelle loro cerimonie dove entrambe i mondi vengono rappresentati e questa dualità la si ritrova in tutti gli aspetti dell’essere. Quando un Corpo del Respiro (anima) occupa un corpo umano, questa dualità vive nel Mondo Superiore; dopo la morte, il Corpo del Respiro se ne va nel Mondo Inferiore dove continua la sua esistenza che conosceva prima nel Mondo Superiore. Ma nel mondo inferiore ora (che per gli Hopi include quello che altre tradizioni invece identificano con il ”Mondo di Mezzo”) il corpo del respiro può entrare in contatto con gli spiriti, gli antenati, gli spiriti della nuvole e del tempo atmosferico, gli spiriti della natura, per intermediare a favore della comunità. Ma ciò che il Corpo del Respiro vive nel mondo dei sogni è, in riferimento a quanto accennato prima, del tutto lontano dai nostri concetti e percezione di tempo e di spazio.
Il tempo e lo spazio
La nostra percezione delle due dimensioni dell’essere, quella visibile e manifesta e quella interiore e in potenza, si appoggia sull’unica rappresentazione della realtà che è quella consensualmente accettata dalla nostra attuale cultura e con la quale veniamo formati sin dall’infanzia: uno spazio infinito tridimensionale e una dimensione cinetica lineare del tempo. In entrambe i casi, una rappresentazione quantitativa e dimensionale, come il nostro concetto di psiche, oggettivizziamo il tempo dividendolo in unità di misura (secondi, minuti o ere geologiche) misurabili e concepiamo lo spazio misurandolo in anni luce di tempo. Di conseguenza percepiamo e verbalizziamo le nostre esperienze micro e macrocosmiche comparandole a oggetti che possiamo tenere nelle nostre mani, sebbene parliamo di tempo e spazi infiniti che conducono ad aspetti poco misurabili e anche conoscibili. Gli Hopi non hanno nella loro lingua termini che noi possiamo ricondurli al nostro concetto di tempo, non hanno nemmeno tempi verbali per riferirsi al passato, presente o futuro. Non hanno neanche termini per lo spazio, così come lo conosciamo noi. La visione macrocosmica Hopi è rappresentabile in due entità, una oggettiva e manifesta, l’altra soggettiva e in manifestazione, che penso si possano comparare ai due concetti aristotelici di ciò che c’è in atto e ciò che c’è in potenza. In ciò che è oggettivo e manifesto cade tutto ciò che è o è stato percepibile ai nostri sensi, compresa la creazione dell’universo, senza alcun tentativo da parte loro di collocarlo tra il passato e il presente; come per altre culture totemiche e animiste, si potrebbe dire che anche per loro la creazione è sempre in atto. Include anche ciò che tutti noi chiamiamo futuro. Per gli Hopi, il tempo è un aspetto dell’essere, corre sulla lama del rasoio dell’attimo presente nel processo di diventare passato o futuro. Visto così è come se di fatto non esistesse il momento presente, ma le nostre abitudini concettuali e verbali ce lo fanno percepire come se ci fosse. Essi hanno presente il nostro concetto di tempo, per questa cultura dove il tempo è un incessante processo nel quale ogni cosa è predeterminata piuttosto che qualcosa che, attraverso una misurazione, scandisce la nostra vita, ai loro occhi sembra che noi continuiamo a correre per afferrare qualcosa che si mantiene sempre davanti e distante a noi. Riportano in una intervista che un saggio Hopi disse: “Quando chiedo a un bahana (uomo bianco) se ha fame o sonno, lui guarda l’orologio; voi portate il vostro Dio al polso”2.
Secondo la loro concezione, dunque, di un senso del tempo come esperienza di continuità tra eventi, manifesti o in manifestazione, e la non restrizione di concetti riferibili allo spazio circoscrivibile da strutture dimensionali precise, tempo e spazio non esistono nei loro sogni, anzi nei sogni potremmo dire che passato e futuro si uniscono nel presente e lo spazio è assente. Nello spazio del sogno, il sognatore Hopi incontra gli spiriti, le Kachinas, il popolo delle Nuvole, rinnova il sacro legame con queste entità attraverso rituali e cerimonie, sono essi che rivelano la realtà e questa rivelazione modella ogni aspetto della loro vita, sia fisica che mentale, attraverso ciò che gli Hopi chiamano il “Buon Cuore”. La loro richiesta agli spiriti, la loro invocazione, viene trasferita tramite hikwsi, il Corpo del Respiro (con il soffio, come avviene per altre culture sciamaniche come veicolo dell’anima, associata al respiro vitale) a un oggetto di preghiera, e questo ha lo stesso effetto di una preghiera o una invocazione verbalizzata. L’incontro con il Serpente d’Acqua avviene dunque nella dimensione senza spazio n’è tempo del sogno, una divinità che è sia personale che collettiva abitante nelle pozze d’acqua, nell’interiora della terra ma capace di controllare le acque dell’universo e altre forze del tempo atmosferico. E’ in questo contesto che le conoscenze e le arti sciamaniche, attraverso il sogno e la visione immaginale, di interazione con gli spiriti del tempo atmosferico, sia a scopo propiziatorio (ad esempio della pioggia nelle stagioni aride) o apotropaico (Palulukon può inviare anche terremoti, alluvioni o frane se dispiaciuto dalla cattiva condotta, dal cattivo cuore direbbero loro, dell’umanità) assumono una evidenza particolare tra gli Hopi, aspetto che richiama altre forme di iniziazione o relazione spirituale presenti in altre culture nord americane, come ad esempio tra i saggi Heyoka nel popolo dei Lakota, che vengono iniziati in sogno a danzare con il tempo atmosferico dagli spiriti del tempo stessi (i cosiddetti thunderbeings)3. Palulukon, dominando le acque, fornisce anche linfa vitale alle piante, governa la circolazione sanguigna negli animali e negli uomini, la sua casa è in ogni corpo d’acqua, sorgenti, laghi, paludi. Anche altri spiriti, come gli spiriti degli antenati, le Kachinas e le Nuvole, oltre al Serpente d’Acqua, vivono nelle pozze d’acqua e pertanto nelle storie e cerimonie degli Hopi vengono invocati per intercedere anche tramite loro con le forze della natura per portare la pioggia. Palulukon è di conseguenza anche portatore di fertilità, per la terra e le donne, viene visto più nella sua funzione “creativa” di portatore di vita che come distruttore, ma ciò che lui farà dipenderà dalla condotta sia dei singoli che dell’intera collettività. Coloro che hanno “cattivi cuori”, dicono gli Hopi, fanno bene a temere Palulukon.
I sogni
Riportiamo qui alcuni sogni Hopi dove l’incontro con il Serpente d’Acqua ha avuto esiti differenti. In entrambe i casi, la dimensione del sogno diventa teatro di questo incontro ed esperienza spirituale con questa entità che governa le acque, incontro di importanza non solo individuale del singolo sognatore ma come presagio dell’arrivo della pioggia a vantaggio dell’intera comunità.
In questo primo sogno, infatti, il sognatore si trova a dover portare una offerta a Palulukon, costretto dall’aver violato un sacro percorso cerimoniale usato dagli Hopi per preparare la famosa Danza del Serpente. Questo sogno è preceduto da una lunga discussione tra il sognatore e suo padre che gli dice che le persone che hanno un buon cuore non devono temere Palulukon, il Serpente d’Acqua, e che se uno è coraggioso a sufficienza da portargli delle offerte (oggetti di preghiera), la ricompensa sarà che cadrà sufficiente pioggia o ci sarà sufficiente acqua per buoni raccolti.
Nel sogno, il sognatore si trova ad attraversare un percorso sacro tracciato con farina di mais disegnato dalla Hopi Snake Society i cui membri stanno catturando serpenti per la famosa Danza del Serpente. Avendo violato questo tracciato, egli sa che può essere iniziato forzatamente dalla Snake Society, e dunque sarà costretto a danzare con i serpenti vivi nella sua bocca con i rischio di essere morso o di morire, ma i cerimonieri gli danno un'altra possibilità, portare un oggetto di preghiera come offerta a Palulukon direttamente, presso una sorgente sacra ove risiede. Dopo averci pensato un po' ed essere stato redarguito dagli uomini di medicina della società dei serpenti, decide di recarsi presso la sorgente sacra dove il Serpente D’Acqua può emergere. Il sognatore lo vede ed è bellissimo, così come i vecchi saggi lo hanno descritto, colorato come un arcobaleno. Sebbene spaventato, da a Palulukon l’oggetto di preghiera e dice: “Gli occhi del serpente sono cosi brillanti, una specie di rosso giallastro e sembra molto colorato e grazioso – sembra un serpente addomesticato e vorrei catturarlo per portarlo a casa come animale domestico”. Dopo una lunga preghiera, il sognatore deposita i suoi doni sacri e dice: ”Ho paura di girarmi, che questo serpente possa trattenermi le gambe e tenermi stretto. Ma guardando me stesso e vedendo un uomo di mezza età, abbandono tutti i miei pensieri infantili e agisco come un uomo”.
Il sognatore dunque abbandona la sorgente, si guarda indietro e vede che anche il serpente se ne è andato e dice “Ho fatto i miei passi vitali allontanandomi da là”. Una terribile tempesta apparì all’orizzonte, fulmini e saette accompagnati dai rumori dei tuoni, e il sognatore viene abbattuto a terra da un fulmine che colpisce la mesa [nota: Gli Hopi hanno 12 villaggi situati in tre regioni: First Mesa, Second Mesa e Third Mesa. Sebbene la lingua, i costumi e le tradizioni siano simili, ogni villaggio conduce le proprie cerimonie e presenta caratteristiche uniche rispetto agli altri]. “Ho sentito un muro della mesa cadere giù e questo mi ha spaventato e mi sono svegliato di colpo, e dunque non sono tornato indietro per dire ai cerimonieri che avevo visto il serpente”.
Avendo rimediato alla violazione di un sentiero sacro disegnato dai sacerdoti col portare delle offerte a Pululukon, il sognatore mette alla prova il suo coraggio e dice alla fine che è stato un “buon sogno”, nonostante si sia sentito molto spaventato al risveglio. La ricompensa sarà l’arrivo della tempesta, un segnale di risposta di Palulukon, seguito dall’arrivo della pioggia.
Questo altro sogno, fatto da una donna, porta a ben altro esito rispetto all’incontro con il Serpente d’Acqua, che seppur non citato esplicitamente, viene rappresentato dalla presenza di un serpente nelle scarpe e soprattutto dall’atto sacrilego di averlo ucciso in sogno, atto che avrà delle conseguenze disastrose. È opportuno rilevare che questa indiana Hopi si era già convertita al cristianesimo ma non poteva trascurare e nemmeno cancellare le antiche tradizioni e i “vecchi dei” della loro religione. È nota l’avversione del cristianesimo nei confronti dei serpenti, spesso identificati come veicoli di forze oscure e maligne.
La sognatrice sta girando attorno ad un antico villaggio desertico popolato da spiriti. Entra nella casa di una zia da tempo defunta che la riconosce. Paralizzata dalla paura, cerca di andarsene ma vede un serpente nelle sue scarpe. Lo uccide e lo getta già dalla rupe del canyon. Stava piovendo ma la pioggia si fermò e venne il sole. Guardando in basso, la sognatrice vede a un certo punto una grande inondazione e le persone cercavano di arrampicarsi sulla rupe per sfuggire dalle loro case colpite da questa massa d’acqua. La sognatrice si trova seduta piangendo e sperando che la sua famiglia sarà tra coloro che sono tornati, ma non tornarono. Si svegliò spaventata.
Tra gli Hopi uno non uccide un serpente con noncuranza e la violenza di ucciderlo e gettarlo in fondo alla rupe non è una cosa “da Hopi”. La presenza di Palulukon, sebbene non menzionato direttamente, si palesa con il serpente nelle scarpe e la sua uccisione provoca l’alluvione che distrugge la comunità e la sua famiglia.
Nel primo sogno, il sognatore si trova ad essere messo alla prova, affrontare il Serpente d’Acqua e portargli un dono, una offerta sacra. Ringrazierà mandando un segnale tramite gli spiriti del tuono e del fulmine e inviando la pioggia come ricompensa. Nel secondo caso, l’uccisione scatena forze contrarie, un alluvione distrugge i villaggi e uccide la famiglia del sognatore.
Da questi e altri sogni si comprende l’importanza cruciale di far si che anche nei sogni gli incontri con gli spiriti, nel caso specifico che stiamo esaminando con il Serpente d’Acqua, si possa risolvere pacificamente e in maniera proficua per il sognatore ma anche nel suo opposto. A tale fine è dedicata la cerimonia per Palulukon, una tra le cerimonie che ciclicamente gli Hopi rinnovano al fine di propiziare la pioggia per garantire i raccolti e al tempo stesso rinnovare il patto di sacra reciprocità tra loro stessi e questa divinità così che possa proteggerli dalle condizioni del tempo avverse. Quando Palulukon appare nei sogni degli Hopi generalmente pone al sognatore una sfida o lo lascia con un interrogativo, solitamente indica che il sognatore o i suoi compagni in sogno sono kahopi (non Hopi, e dunque non buoni), e Palulukon indica generalmente in che cosa si sono discostati dal “Buon Cuore”. Anche se il sogno pare supportare al momento il sognatore, questi resta alla fine, o al risveglio, raramente soddisfatto, e la modalità di discussione sui contenuti del sogno è volta a evidenziare cosa non va nella vita del sognatore e cosa deve essere rettificato. Al contrario nella nostra cultura, che pone poco interesse ai sogni e non offre alcuno strumento per gestire i sogni ed intraprendere le necessarie azioni a riguardo, fatto salvo incanalarlo e ridurlo ai paradigmi psicanalitici per menti già psicanalizzate, a nessuno verrebbe in mente che un sono dove si muore per un morso di un serpente potrebbe indurre ad analizzare cosa abbiamo trasgredito nella nostra condotta individuale o collettiva oppure quale trasgressione vorremmo fare ma che teniamo inibita e nascosta a livello inconscio. Men che meno, anche superando queste scontate interpretazioni freudiane derivate dal simbolismo del serpente come energia sessuale, il suo morso lo si può concepire come una trasmissione di conoscenza o di una medicina, come lo era per esempio in altre culture più vicine alla nostra (vedi il serpente come manifestazione teriomorfica nell’incubazione onirica per le richieste di guarigione fatte ad Asklepio nell’antica Grecia)4. Ogni sogno va visto sia in riferimento al sognatore che al suo contesto culturale e sociale, e questo è inevitabile, al di là di presunti significati archetipici universali che possiamo attribuire al linguaggio metaforico e simbolico dei sogni. Il fattore personale, o lo stato del sognatore al momento del sogno, determina l’uso specifico di simboli sia culturali che riferibili all’immaginario del sognatore e di ciò che i sogni gli stanno manifestando su aspetti pratici e spirituali della sua vita.
La presenza del Serpente d’Acqua nei sogni Hopi testimonia sia un possibile monito o avvertimento di ciò che deve essere rettificato o che viene punito per una trascuratezza o per aver infranto un ordine sociale, culturale o religioso ma anche come agente possibile a supporto del sognatore stesso o della sua comunità. Ciò che si rileva anche per questa cultura indigena di sciamani sognatori è l’assoluta consapevolezza dello spazio del sogno come teatro di incontro con gli esseri superiori, con le divinità e con gli spiriti, ma al tempo stesso come veicolo di forze trasformative, terapeutiche, propiziatorie o apotropaiche. Il sogno dunque è vissuto non solo come un continuum della vita di veglia ma anche come fonte di ispirazione, riparazione e di rinnovo dei legami di sacra reciprocità tra gli uomini e la natura, un ponte che collega i due mondi, il manifestato oggettivo, ciò che era, che c’è e che sarà, e ciò che è soggettivo e in potenza il cui esito dipende da ciò che il sognatore farà dei propri sogni, da quale azione intenderà intraprendere per onorare il loro potere, i loro messaggi o l’incontro con le proprie manifestazioni del sacro.
Note
- Per approfondimenti sull’arte del sognare nel misticismo sufi, vedere l’articolo pubblicato nel presente sito “La visione in sogno del "Sole di Mezzanotte" nel sufismo iraniano - di Luciano Silva.
- Whorf, “Language, Thought and Reality: Selected Writings of Bejamin Lee Whorf”, ed. J.N Caroll, Cambridge, citato da Dorothy Eggan, “Hopi Dreams in cultural perspective” in “The Dream and Human Societies”, University of California Press.
- Per l’arte sciamanica di interagire con gli spiriti del tempo atmosferico e sugli Heyoka, vedi gli articoli pubblicati nel presente sito qui.
- Per un approfondimento vedi il nostro articolo “Il mistero della guarigione nei sogni nella Grecia antica - L'arte del sognare negli antichi greci e l'incubazione dei sogni di guarigione” di Luciano Silva
Nell'immagine sopra, la danza del serpente.
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