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Articoli e interviste su sciamanesimo e tensegrità Articoli e interviste su sciamanesimo e tensegrità

La Cerimonia degli APU - di Stella Osorojos

Stella Osorojos ci descrive un incontro con gli APU, gli spiriti delle alte montagne del Perù.

12/05/2011

L’articolo nell’edizione originale inglese è stato pubblicato sull’autorevole rivista americana di sciamanesimo “Sacred Hoop” (Issue n.68-2010). Ringraziamo Nick Wood, editore della rivista Sacred Hoop (www.sacredhoop.org) per la gentile autorizzazione concessaci. Traduzione a cura di Annalisa Mentasti.

In una capanna di mattoni di paglia e fango, con il pavimento di terra, pesanti coperte sono attaccate alle finestre ed alla porta per assicurare un'oscurità totale.

L'unica lampadina che prima oscillava da una cavo volante è stata disattivata, ma non per la stessa ragione: l'energia prodotta dalla cerimonia che si sta per celebrare a volte può far scoppiare e sparpagliare il vetro ovunque.

Ad un capo della stanza su un altare ci sono pietre, cristalli, candele e la “mesa” di ogni aspirante spirituale che è presente.

Ogni fagottino intessuto a mano contiene le “khuyas” o pietre sacre che rappresentano le connessioni con il divino, sia che ci si riferisca ai PachaMamas (gli spiriti della terra), agli Apus (gli spiriti delle montagne), ad angeli, a creature elementali ed agli “amarus” (gli animali del mondo di sotto).

Il “paq'o” o sciamano che conduce la cerimonia ci deve comunicare alcune cose.

Vuole che sappiamo che una volta che ha invocato gli spiriti, la sua capacità di controllare la situazione svanirà completamente.

Gli spiriti possono restare per cinque minuti, possono restare per quattro ore, possono anche non presentarsi del tutto. Alcune volte appaiono con un aspetto aeriforme come una nube di gas, altre volte appaiono in corpi fisici. Non c'è modo di dire in quanti si presenteranno o quale sarà il loro programma. Il nostro compito è semplicemente di pregare affinché si presentino e di favorire la loro partecipazione facendo spazio per la loro apparizione col cuore in ascolto.

Abbiamo lavorato tutta la settimana per preparare questa cerimonia pulendo la “hucha” cioè le energie pesanti, attraverso la preghiera, la meditazione e preparando e bruciando o sotterrando i “despachos” cioè delle offerte. Non sono coinvolte né droghe, né piante medicinali. Tutto quello che adesso ci è richiesto di fare è di mettere da parte il chiacchiericcio della mente, la paura e soprattutto il dubbio. Questo è tutto sommato abbastanza facile da fare, fino al momento in cui arrivano. La richiesta speciale che il “paq'o” ha fatto ha funzionato.

Il suono del battito d'ali riempe la stanza buia pesta.  E' un suono inconfondibile, foomp, foomp, foomp, ogni piuma è rigida e reale a sufficienza per fendere l'aria. Uno sembra essere arrivato dopo aver trapassato il muro di sinistra, un altro da quello di destra. Un terzo arriva da dietro l'altare. Uno sembra volare fuori dal suolo. Il soffitto era stato coperto con un telone serrato stretto, ma quando uno spirito penetra dall'alto si può distinguere la vibrazione della plastica strapazzata.

Alcune volte un'ala ti passa così vicino che si può sentire l'aria smossa sulla guancia o nei capelli. Ciascuno atterra a turno sulla “mesa” con un colpo. Le pietre iniziano a ticchettare, probabilmente vengono ispezionate e benedette. Alcune volte gli spiriti comunicano i loro nomi, generalmente noti dalle mappe andine, altre volte no.

Le loro voci sono dai toni alti o bassi e tesi. Il suono sembra come quando qualcuno si tappa il naso e vuole farti uno scherzo. “Sawasiwray”!, “Sacsayhuaman”!, “Ausangate”!. I PachaMamas sembrano ancora più sospetti come un disco a 45 giri accelerato a 78 giri. “Pacha Nusta”!, “Pacha Virgen”!

Le domande si accumulano: “Quella è la voce del mio sciamano?”, “E' una registrazione?”, “Gli sciamani potrebbero picchiettare delle pietre in modo da fare quel ticchettio, ma come è possibile che i suoni arrivino da tutti i lati?” I muri sono solidi, spogli e visibili dall'esterno; non ci sono soppalchi o angoli nascosti.

Come potrebbero simulare tutto questo? I “paq'os” accolgono gli spiriti che arrivano con ringraziamenti sommessi, ogni volta dicendo “Gracias, Padre Lindo”. E le loro voci giungono da dove erano seduti quando i miei occhi, i miei più forti alleati nel discernimento, avevano confermato la loro posizione per 'ultima volta.

Come potrebbe accadere tutto ciò? Dopo che per la prima volta ho partecipato ad una cerimonia con gli Apu nel 2007, sono stata tormentata per giorni da pensieri oscuri. Non c'era nulla riguardo agli sciamani con cui ho lavorato che suggerisse duplicità. Stare in loro presenza era come trovarsi in un campo fresco dopo la pioggia: pulito, calmo, aperto. Ogni potere che sembrano detenere è equamente dosato con l'umiltà. Ma ancora, i dubbi mi martellavano. Allo stesso tempo, contraddittoriamente, mi sentivo profondamente benedetta. Non ero entusiasta di questo viaggio o di questa cerimonia. Avevo incontrato uno sciamano ad una cerimonia col fuoco ed avevo saputo durante quei minuti di incontro con lui che avrei dovuto viaggiare insieme a lui in Perù. Non avevo idea di quello che lui facesse durante i suoi viaggi; sapevo solo che sarei andata. Quando appresi che faceva parte di un lavoro tradizionale con gli angeli celestiali che abitano le montagne alte, sono rimasta sbalordita. Avevo infatti già avvertito una connessione con gli angeli dopo un'esperienza meditativa ai cui mi ero precedentemente interessata. Poi scoprii che avremmo potuto partecipare ad una cerimonia di questo tipo, benché non ci fosse stata fatta nessuna promessa.

Mentre mi si lasciava partecipare ad una cerimonia così antica e segreta, ero confusa (cos'è tutto ciò? Perché noi?), si percepiva come un dono grande ed importante. In seguito sono venuta a sapere di viaggi con altri gruppi che non furono in grado di compiere questa cerimonia. La ragione che mi sono data sul perché alcuni siano i benvenuti alla cerimonia ed invece ad altri venga richiesto di aspettare, ha a che fare con la quantità di “hucha” che apportano. Se si pensa alla “hucha” come al complesso dell'ego ed all'ego come qualcosa a cui piace preservare il proprio punto di vista, così si può capire che pesanti fardelli di “hucha” sarebbero pericolosi in una cerimonia che mina molto di quello che presumiamo conoscere sul mondo che ci circonda.

Ho sentito di gente cacciata dalle cerimonie con gli Apu, delirando con rabbia, minacciando azioni legali. In quanto al perché le cerimonie siano condotte al buio, mi è stato spiegato che gli Apu ed i PachaMamas sono semplicemente prudenti, non volendo rivelare se stessi completamente fino a che non siano raggiunti i più alti livelli di iniziazione. Forse le cerimonie dei primi stadi sono in realtà concepite per sollevare i conflitti del nostro ego-mente; non ci si può liberare di ciò che non sappiamo identificare. In ognuna delle tre cerimonie a cui ho preso parte, la maggior parte degli spiriti che si presentarono rimasero in secondo piano, picchiettando pietre, benedicendo le “mesas”, ma non dicendo nient'altro oltre al loro nome. Poi ci sono gli Apu le cui personalità risplendono nell'oscurità, assumendo forma attraverso il timbro della loro voce ed il contenuto dei loro messaggi.

L'Apu Ausangate è sempre solenne e potente, parlando poco, ma penetrando in profondità.

Durante il mio ultimo viaggio l'Apu Sacsayhuaman è stato professionale e chiaro e chi ha ricordato l'importanza della fede.

L'Apu Sawasiwray ha chiesto scusa per il fatto che il suo gemello, Apu Pitusiwray non potesse essere lì e giustamente si è lamentato che fosse passato troppo tempo dalla nostra ultima visita.

Avevo ancora delle domande, ma non riguardo alla veridicità dell'esperienza che stavo vivendo.

Chiunque parli, il messaggio principale degli Apu è sempre che sono a nostra disposizione.

Ci chiedono di chiamarli quando abbiamo bisogno d'aiuto e sempre di approcciarli nello spirito di “ayni” solitamente tradotto come “relazione corretta” (n.d.t. oppure “reciprocità”). E' un concetto dei Q'ero secondo cui le interazioni dovrebbero sempre essere di mutuo beneficio.

I Q'ero sono la popolazione originale di quest'area. Come ci siano arrivati, lo racconta il “paq'o” con cui lavoro. Dice che la sua gente, i Q'ero, si ritirarono dai conquistatori spagnoli e si arrampicarono in alto sulla Cordigliera Andina vicino a Cusco. Quando gli spagnoli provarono ad inseguirli, gli Apu e gli Esseri Elementali arrivarono in soccorso, lasciando cadere in basso difronte a loro una nube impenetrabile e bloccando così la loro incursione. Poi, alle altezze di 5000-6500 metri, i Q'ero continuarono a vivere in villaggi costituiti da case di una stanza in pietra, portando avanti la coltivazione di patate ed allevando i lama e forse, cosa più importante di tutte, salvaguardarono le loro credenze e le pratiche spirituali. Circa cinquant'anni fa, apparvero alcuni segnali profetici e si capì che era venuto il tempo di condividere la loro antica saggezza. I Q'ero furono “scoperti” dal mondo occidentale nel 1949 grazie ad un antropologo che stava visitando Paucartambo. Da allora hanno appreso il gusto dello zucchero bianco ed hanno imparato a sostare agli incroci delle strade strategiche di Cusco indossando i propri abiti tradizionali, tenendo cuccioli di alpaca e guadagnando qualcosa dopo essersi prestati per foto tipiche. Hanno anche iniziato a rendere disponibili i loro insegnamenti miracolosi per la prima volta in cinquecento anni ed i neo-sciamani del mondo occidentale si stanno nutrendo di tutto.

Forse il più bell'esempio di quanto profondamente i Q'ero capiscano il mondo energetico, è quando i mio “paq'o” spiegò la parola Quechua “nakwi” in relazione ad una delle pietre sacre della mia “khuya”. Disse che in spagnolo “nakwi” è generalmente tradotto come “occhio”, ma è davvero molto più simile alla parola Quechua “ceque” cioè un allineamento di energie. Deriva dall'idea dei Q'ero che quando l'occhio vede qualcosa, si apre una connessione diretta fino a quella cosa. Nel caso della mia “khuya”, mi spiegò, è essenzialmente un portale verso il divino. Ma un'altra ed altrettanto affascinante implicazione è che il bulbo oculare di ognuno può entrare in contatto con cose molto lontane. Possiamo saperlo istintivamente, pensiamo a quante volte ci siamo sentiti che qualcuno ci stesse fissando, ma il nostro linguaggio non contiene questo genere di nozioni.

Una cultura che è sicuramente meno alle prese con le teorie di separazione. “La separazione è ciò che sta alla base di tutte le malattie della società moderna”, come sostiene lo scrittore e filosofo Charles Eisenstein in “The Ascent of Humanity”1, opera meravigliosa ed esaustiva sul tema. In questo contesto, si può capire come sia frammentata la conoscenza: quando guardiamo una montagna vediamo un accumulo di terra e pietre e non ne percepiamo un aspetto vivente o la proiezione di noi stessi, come alcune delle idee precedentemente esposte suggeriscono.

Quando sono tornata a casa a Los Angeles, dove vivevo in quel periodo, sono andata a fare un'escursione a Griffith Park. Nonostante la mia “hucha” gravosa, sono scoppiata a piangere alla vista delle montagne di San Gabriel. Sapevo che erano vive. E non solo teoricamente vive come una proiezione di un campo unificato, ma vive nel senso che vi risiedono creature viventi. Mi sono sentita così coinvolta, così protetta e con così tanto amore tutt'intorno che non ho potuto far altro che fugare ogni dubbio.

Se volete sapere se una montagna sia viva, semplicemente chiedeteglielo!

 

 

NOTE

1: Per informazioni sul libro di Charles Eisenstein “The Ascent of Humanity” , www.ascentofhumanity.com.

Stella Osorojos, DOM, L.Ac, è una scrittrice freelance e dottoressa in medicina orientale.  I suoi racconti sono stati pubblicati su Condè Nast Traveler, Spirituality & Health, InStyle e altre riviste. Pratica medicina energetica a Santa Fè, NewMexico, USA.

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