La sindrome degli antenati: teorie e scoperte sulla trasmissione transgenerazionale degli irretimenti genealogici - di Luciano Silva
Dall'inconscio collettivo ai campi morfici, dalla cripta fantasma all'anima familiare.
08/10/2025

“Tutto quello che non risale alla coscienza rinviene sottoforma di destino”
C.G.Jung
“Quelli che non si ricordano il passato sono condannati a riviverlo”
Marc Bloch
La trasmissione inconscia degli “affari” lasciati in sospeso dai nostri predecessori e il loro effetto sui discendenti è stata oggetto di numerosi studi e sperimentazioni da parte di una moltitudine di discipline, dalla psicologia transpersonale alla psicogenealogia, dall’ipnosi ericksoniana alle costellazioni familiari. L’effetto di questi irretimenti, ovvero del farsi carico in tutto o in parte del destino di un nostro precedessore, da traumi irrisolti che hanno scosso l’anima familiare e che reclamano una soluzione attraverso una allarmante coazione a ripetersi lungo le generazioni, a debiti o crediti (emozionali, animici, economici) nei confronti della vita trasmessi inconsciamente ai discendenti, fino a vere e proprie storie e credenze perlopiù nascoste e tramandate come veri e propri diktat familiari, impone a chi ne viene colpito un legame di fedeltà che può essere soddisfatto solo attraverso la loro drammatica ripetizione.
L’amore cieco fa si che posso sentirmi parte del mio sistema, e dunque non sentirmi escluso, solo se riproduco o mi faccio carico di quanto i miei antenati hanno lasciato di insoluto nei drammi familiari, il mio sacrificio è il mio modo per ricordarli e per garantirmi la mia appartenenza. Questo vale per le malattie, i fallimenti, le psicosi, le emarginazioni, le emigrazioni, gli aborti, soprusi, omicidi, suicidi e tutto ciò che ha lasciato una impronta traumatica nel sistema familiare. Ma quando parliamo di “sistema familiare” cosa intendiamo chiaramente? E se gli irretimenti, come sembra essere testimoniato dall’esperienza clinica, agiscono anche se tra i soggetti non vi sia un legame di sangue, dove residua questa memoria nociva che necessita di essere rinegoziata e risolta? Da qui le varie teorie a supporto dell’esperienza che le terapie basate su approcci differenti si sono occupate di portare alla luce e guarire i legami nascosti che agiscono invisibilmente lungo le generazioni andando a comporre storie familiari che nella loro drammaticità continuano a ripetersi nelle nuove generazioni.
L’inconscio collettivo di Jung
L’idea dell’inconscio collettivo arrivò a Jung in sogno mentre tornava in Europa dagli Stati Uniti, in un viaggio fatto con Freud, dove vide una casa con una cantina al di sotto della quale vi era un'altra cantina a un livello inferiore contenente un insieme di vasi, ossa e crani preistorici. Osservando i sogni successivi, compresi quelli dei suoi pazienti, notò che si presentavano dei temi ricorrenti che apparivano regolarmente e che dunque non potevano essere riconducibili all’inconscio individuale del sognatore ma bensì a quello che definì come inconscio collettivo. A questi temi ricorrenti diede il nome di archetipi. Nello sviluppo della sua psicologia analitica, Jung distinse successivamente in un inconscio collettivo primordiale, dove si trova tutto ciò che accomuna l’umanità intera (come la paura della sopravvivenza, della morte o della povertà), un inconscio collettivo di gruppo e culturale ma anche un inconscio collettivo familiare. Inevitabilmente ciascuno di noi è “immerso” in una rete di memorie e di vissuti che possono attingere all’uno o all’altro tipo di inconscio ciascuno dei quali può emergere a livello cosciente (processo di individuazione) tramite un simbolismo che permette al soggetto di tradurre la propria esperienza in una forma comprensibile e identificabile cognitivamente. L’immaginazione mitica all’opera, sia nell’esperienza individuale del mistico, del visionario o dello sciamano, o a livello collettivo nei rituali di possessione da parte di presenze fantasmatiche o altre entità che agiscono nel dramma familiare o nel sistema relazionale in esame, deve essere “fissata” e mantenuta nella coscienza in una relazione stabile affinché possa solidificarsi in un simbolo (che Jung chiama “elaborazione simbolica”) e poi in una dottrina o in un rituale che consentano a queste esperienze non solo di collocarsi nello specifico sistema di credenze culturalmente accettato ma anche di essere eventualmente rivissuta tramite la sua ripetizione. Alla base della ripetizione rituale, svolta consapevolmente o che agisce inconsapevolmente, vi è la riattualizzazione di un evento avvenuto nel passato i cui effetti necessitano, o si desiderano, rivivere e riproporre nel momento presente.
Dice Jung a un certo punto: “Mentre lavoravo al mio albero genealogico ho capito la strana comunità di destino che mi collega ai miei avi. Ho fortemente il sentimento di essere sotto l'influenza di cose o di problemi che furono lasciati incompiuti o senza risposta dai miei genitori, dai miei nonni e dai miei antenati. Mi sembra che spesso ci sia in una famiglia un karma impersonale che si trasmette dai genitori ai figli. Ho sempre pensato che anch'io dovevo rispondere a delle domande che il destino aveva già posto ai miei antenati e alle quali non si era riuscito a dare risposta.”1
Alla correlazione tra fatti interni ed esterni che sfuggono ad una legge di causa-effetto, ovvero ai fenomeni di sincronicità, Jung ne ha dedicato uno studio specifico ipotizzando che nell’inconscio collettivo, come anche in quello familiare, si possono trovare le radici di questi eventi concatenati tra loro in maniera a-causale. Su questi eventi sincronici, così come sulla ripetizione invece di eventi che si ripetono a distanza di tempo lungo le generazioni nello stesso periodo o addirittura nello stesso giorno, Anne Ancelin Schützenberger ne ha dedicato un intero studio le cui ricerche le ha permesso di scoprire una vera e propria “sindrome d’anniversario”2. All’avvicinarsi del momento fatidico, chiamato "periodo di sensiblizzazione", quasi sempre corrispondente a un evento tragico o traumatico accaduto a qualche nostro predecessore, uno o più membri della famiglia sembrano costretti a ricordare quell’evento riattualizzandolo nel tempo presente, talvolta in forma letterale, altre volte simbolica, per fedeltà facendosene carico o nel tentativo “magico” di risolverlo (alla stessa stregua risuona qui la figura del “capro espiatorio” come colui che è deputato a risolvere, spesso tramite la vendetta o il riscatto, dei debiti o torti subiti dalla propria famiglia o gente). La morte di un nonno può essere celebrata tramite una separazione coniugale, un licenziamento, l’essere costretti ad emigrare o un fallimento. Storicamente i capri espiatori non hanno fatto mai una bella fine, oltre ad aver sacrificato sé stessi nel tentativo di espiare una colpa, esorcizzare un maleficio, vendicare un sopruso subito o salvare il mondo dai peccati hanno spesso trascinato con sé legioni di morti con conseguenti reiterazioni del conflitto. Le guerre le creano e le fomentano i giusti ovvero coloro che si credono essere dalla parte del “giusto”.
La trasmissione transgenerazionale: i contributi di Francoise Dolto, Didier Dumas, Nicolas Abraham e Maria Torok
Famosa la frase di Francoise Dolto (1908-1988), medico pediatra e psicanalista francese, che grazie alla sua esperienza maturata con bambini autistici arrivò a dire che “ci vogliono tre generazioni per fare un bambino psicotico”, una formulazione che include anche ciò che è stata chiamata “genitorializzazione”, espressione con la quale ci si riferisce al genitore in difficoltà che va in richiesta (talvolta esplicita, spesso implicita) del figlio per prendere il posto del proprio genitore, ovvero del nonno (o della nonna). Se è vero che il sistema nervoso della madre è tutt’uno con quello del bambino fino ai primi anni di età, come testimoniato dalle attuali ricerche neurobiologiche, in termini psicologici Dolto ripropone questo concetto a livello dell’inconscio familiare, quello che è taciuto nella prima generazione viene custodito segretamente nel grembo della seconda generazione e cosi trasmesso alla terza. Nel suo libro “Il problema dei bambini”3, Dolto parlando della sua esperienza con i bambini psicotici, sostiene che “Il lavoro analitico deve essere fatto precocemente perché il debito che i genitori sono riusciti a sostenere ma che è restato incuneato in loro, non sia un peso che un altro bambino dovrà esprimere.. E se non è il genitore sarà suo figlio o i suoi nipoti ma il debito si deve esprimere in questa stirpe, perché è una prova simbolica”.
Didier Dumas, allievo di Francoise Dolto, riprende la pericolosità dei “non detti” familiari collegandosi alla nozione di fantasma inconscio transgenerazionale formulato nei lavori di Nicolas Abraham e Maria Torok, ovvero un trauma non risolto crea una presenza fantasmatica che si trasmette alle generazioni successive sottoforma di “segreto di famiglia”. Guerre, deportazioni, stupri, abusi, aborti, traumi individuali e collettivi, se non vengono risolti non solo nell’anima dell’individuo che li subisce, se ne ha la possibilità, ma anche nell’anima famigliare lasciano una memoria, una presenza fantasmatica che induce una coazione a ripetere nelle generazioni successive sino a quando non si creano le circostanze, o vengono ricercate appositamente tramite opportune terapie individuali o sistemiche, perché possano essere rinegoziate e guarite. Il fantasma, che può essere percepito da qualcuno o da tutti i membri della famiglia ma da tutti tenuto nascosto, ha la funzione proprio di custodire un segreto, un evento indicibile che ha causato e causa ancora sofferenza, ma che alla fine provoca a colui che è destinato a riceverlo sintomi, follie, fobie oppure ossessioni.
Abraham e Torok formulano l’ipotesi che un evento rimosso o nascosto si rifugi in una “cripta fantasma”, intesa come parte scissa dell’Io, che qualcuno sarà costretto a ricordare. “Il fantasma è una formazione dell’inconscio che ha come particolarità di non essere mai stato conscio – con causa – e di risultare dal passaggio, di cui il modo resta da determinare, dall’inconscio di un genitore all’inconscio di un figlio”.4 Tra gli eventi spesso nascosti e rimossi ci sono gli aborti. La presenza di un anima chiamata a incarnarsi ma che non le viene data la possibilità di venire al mondo comunque reclama il suo posto nella genealogia. Se non le viene dato, qualcuno (spesso un fratello o sorella vivente) ne prenderà il posto oppure sarà costretto a ricordarla. La proiezione del bambino defunto nel sistema familiare assume un particolare effetto qualora i genitori, ad esempio dopo un aborto spontaneo, decidono subito di riprovarci mettendo al mondo un figlio e magari dandogli lo stesso nome che avrebbero voluto dare al bambino abortito. Salomon Sellam la definisce, a proposito dei bambini sostitutivi, "sindrome del giacente" dove i segnali tipici possono essere una eccessiva immobilità (a ricordare il fratello/sorella morto) o al contrario iperattività (nel tentativo magico di riportarlo in vita), amare il buio, abiti scuri, assumere nomi di antenati, se non quello esplicito del fratello scomparso, che richiamano la morte o il tentativo di resuscitarlo (es: Renato, nato di nuovo).
Una ipotesi di come avvenga questo passaggio ce la fornisce Rupert Sheldrake con la scoperta dei “campi morfici” o Jacob Moreno con il concetto di co-conscio famigliare.
I campi morfici di Rupert Sheldrake, il co-conscio e lo psicodramma di J.L.Moreno
Rupert Sheldrake, biologo, biochimico, saggista e ricercatore britannico, è noto per la sua teoria sulla risonanza morfica e i campi morfogenetici. Secondo questa teoria, che rasenta il concetto di correlazione quantica, esseri simili o con particolari legami restano connessi tra di loro al di là dello spazio e del tempo e “ogni individuo rimesta in una memoria collettiva che alimenta a sua volta. In un contesto umano questa memoria è molto vicina all’inconscio collettivo di Jung”5. I campi morfici, sostiene Sheldrake, hanno una memoria “storica” che dunque li fa assomigliare all’inconscio collettivo di Jung. Tramite la risonanza morfica, rilevabile sia in fisica, chimica, biologia, in psicologia e nelle scienze sociali, una informazione si trasmette nel tempo e un individuo riceve questa influenza da altri individui del passato a cui è connesso, ad esempio tramite linee di sangue o membri appartenenti alla stessa specie.
Lo psichiatra, sociologo e filosofo rumeno Jacob Moreno situa la memoria degli eventi significativi nella storia famigliare in un “co-conscio transgenerazionale”. Alla base di questo concetto, secondo Moreno esiste una sorta di empatia reciproca che agisce in maniera indipendente dallo spazio e dal tempo, proprio come l’effetto della risonanza morfica di Sheldrake, e che agirebbe lungo le generazioni in quello che Moreno chiama “l’atomo sociale”. Moreno è colui che ha inventato lo psicodramma e la sociometria come strumento per analizzare le interazioni all'interno di un gruppo e produrre un sociogramma, una rappresentazione grafica delle reti di attrazione e repulsione applicabile all’albero genealogico.
Ciò che agisce nello psicodramma è questa corrente bidirezionale alla quale Moreno ha dato il nome di tele. l tele di Moreno è un concetto fondamentale dello psicodramma che descrive la forza innata che permette la comunicazione emotiva e la coesione nei gruppi, definita come "la più piccola unità di sentimento trasmessa da un individuo all'altro". È un ponte invisibile attraverso cui scorrono le emozioni, sia positive (attrazione, empatia) che negative (rifiuto), e rappresenta la tendenza umana a relazionarsi con gli altri, diventando il motore della terapia e dell'incontro umano.
La differenza tra lo psicodramma e le Costellazioni Familiari, così come le ha formulate e proposte Bert Hellinger, è che nello psicodramma i rappresentanti scelti tra il pubblico recitano un ruolo, nelle costellazioni familiari invece vengono invitati a restare in contatto con le sensazioni, i movimenti o le emozioni che ricevono dal “campo morfico” (usando l’espressione di Sheldrake) o dal campo energetico dell’anima familiare, o dal campo tensionale residuo nel sistema relazionale evocato. Tramite il linguaggio non verbale e analogico dei rappresentanti la storia taciuta, nascosta viene gradualmente alla luce e attingendo o invocando risorse personali o transpersonali, come avviene nell’approccio sciamanico alle costellazioni, si favorisce lo scioglimento di quella memoria (solve) e l’apertura di uno spazio e di un epilogo risolutivo e salutare (coagula) dove l’energia riprende a fluire in una nuova configurazione. La storia viene ora riscritta e può evolvere verso un differente epilogo depurata dagli agenti patogeni ereditari.
Le lealtà familiari invisibili di Boszormenyi – Nagy
Un'altra scoperta interessante, che contribuisce a far luce sulla trasmissione delle relazioni patologiche tra familiari lungo diverse generazioni, viene dagli studi e dall’esperienza dello psichiatra e psicoterapeuta ungherese Boszormenyi – Nagy. Nel suo testo fondamentale “Lealtà invisibili” 6, dimostra come alla base dei sistemi familiari vi sia una rete gerarchica di obblighi dove ciascuna persona è legata all’altra da un insieme di aspettative basate su un sottile equilibrio tra dare e ricevere. Dice nel testo: “Noi oscilliamo costantemente tra cogliere ed eludere i nostri obblighi. Un sistema relazionale può essere considerato come sorretto da un giroscopio che mantiene aggiornati i computi dell’equilibrio totale degli obblighi tra i suoi componenti”. Esisterebbe dunque una sorta di “contabilità famigliare” che tiene conto della lealtà al sistema famigliare basata sull’equilibrio tra ciò che si è dato e ciò che si è ricevuto e ciascun componente della famiglia è obbligato a mantenere questo equilibrio.
La genitorializzazione citata prima, ad esempio, di fatto rompe questo equilibrio: i genitori invece che dare ai figli pretendono e prendono da questi, cercando a valle ciò che non hanno ricevuto probabilmente a monte dai loro genitori. L’effetto di questa inversione di ruolo, formulata da Hellinger come “legge di precedenza”, provoca effetti disturbanti nel ruolo del bambino che di fatto si vede privato della propria infanzia e costretto ad assumere un ruolo genitoriale con conseguente sovraccarico di tensioni, responsabilità e incarichi che non potrà assolvere se non a scapito della propria salute e del proprio equilibrio. La genitorializzazione sortirà probabilmente effetti disturbanti nel bambino anche nelle sue future relazioni in età adulta, saranno adulti fragili che tenderanno a loro volta a genitorializzare i propri figli (da qui la trasmissione transgenerazionale di uno squilibrio tra dare e ricevere e di una violazione dell’ordine di precedenza). L’equilibrio tra dare e ricevere, tra debiti e crediti, verrà ripreso poi da Bert Hellinger come una delle leggi fondamentali “dell’amore” da rispettare nei sistemi famigliari per mantenere un sano equilibrio nelle relazioni non solo tra genitori e figli ma anche tra coniugi. Un debito lasciato in sospeso da un ascendente si trasmette con un senso di colpa che costringe uno o più discendenti a doverlo pagare prima o poi. Per lealtà transgenerazionale il bambino irretito manifesta in un sintomo l’eccesso conservato nel campo tensionale alimentato dal segreto di famiglia. Il segreto nasce dalla vergogna o da sensi di colpa inconfessabili. Per paura di perdere l’amore, l’appartenenza alla famiglia o di una punizione si preferisce tacere. Come dice Serge Tisseron:”Il segreto diventa patologico quanto cessiamo di esserne i guardiani per diventare il prigioniero”. Guy Ausloos, psichiatra infantile, pone la differenza tra segreto e non detto: il segreto è quando qualcuno della famiglia non sa mentre gli altri sanno; il non detto è quando tutti sanno ma sono d’accordo nel non parlarne. Un segreto è quando mia moglie non sa che io so che mio figlio non è mio figlio; un non detto è che tutti sanno che un figlio o un fratello è omosessuale ma per vergogna non se ne parla. Come disse Anne Ancelin Schutzenberger, “Quello che non si esprime, si imprime”.
La nevrosi di classe di Vincent de Gauléjac
Psicanalista e sociologo, introduce il concetto di nevrosi di classe derivante dal conflitto che può nascere a seguito di un cambiamento, forzato o voluto, di classe sociale. Questo scenario può riguardare persone costrette ad emigrare, e dunque a doversi integrare in altre culture o modelli sociali differenti rispetto a quelli d’origine, oppure a figli che si trovano a poter accedere a classi sociali più avvantaggiate rispetto a quelle dei predecessori. Nasce una contraddizione tra il dover rispettare la lealtà famigliare che impone di dover restare nella classe di appartenenza dei genitori e il desiderio di promozione sociale derivante dalla possibilità di potersi affrancare da questa ed accedere a migliori condizioni di vita. Se ad esempio il figlio di una famiglia di operai o di contadini avesse la possibilità, accedendo a studi superiori, di laurearsi e fare un mestiere più remunerativo e potere accedere così a una classe sociale superiore (intesa rispetto al modello sociale e alla cultura di riferimento), si troverebbe a vivere un conflitto tra la sua identità ereditata e quella desiderata. Questo conflitto potrebbe ingenerare una “nevrosi di classe” che potrebbe causare sintomi dissociativi, una parte vorrebbe restare fedele alla classe di appartenenza dei genitori o dei propri antenati, l’altra vorrebbe tradirla. Si subisce quello che la scuola sistemica di Palo Alto definisce un “doppio legame”, il figlio potrebbe ricevere il messaggio paradossale da uno o entrambi i genitori: “devi essere come me ma non devi diventare come me” e sviluppare una schizofrenia. La nevrosi di classe potrebbe dunque essere una di quelle situazioni difficili che possono essere trasmesse tra le generazioni. Quando la fedeltà alla famiglia d’origine non viene rispettata, il conflitto derivante dal desiderio di affrancarsi può generare effetti patologici anche gravi.
La psicogenealogia: Anne Ancelin Schützenberger
Forse la scoperta più interessante fatta da Anne Ancelin Schützenberger, psicologa e psicoterapeuta francese, professoressa all'Università di Nizza dove diresse per oltre vent'anni il laboratorio di psicologia sociale e clinica e cofondatrice dell'Associazione Internazionale di Psicoterapia di Gruppo, è stata la “sindrome d’anniversario”. Tramite lo studio di più di 300 alberi genealogici raccolti nei suoi 15 anni di lavoro con i malati terminali di cancro, tramite la stesura dei genosociogrammi scopri la drammatica ripetizione di eventi traumatici, come malattie o incidenti, in corrispondenza (nello stesso periodo, talvolta nella stessa data) di eventi significativi e analoghi vissuti da qualche antenato generazioni precedenti i suoi pazienti. Qualcuno ha formulato una ipotesi genetica, ma la cosa non prova comunque casi di sincronicità di eventi che si ripetono nello stesso periodo da parte di soggetti che non necessariamente hanno legami di sangue con coloro che hanno subito gli eventi originari ma sono magari rimasti legati da relazioni affettive o di altro genere. Non appena il soggetto irretito si avvicina alla “data fatidica”, ecco che il campo tensionale conservatosi nell’anima famigliare, o se si preferisce nell’inconscio collettivo della famiglia o nella “nicchia fantasma”, aumenta il volume e iniziano ad emergere dei sintomi che spesso richiamano anche letteralmente gli effetti mai risolti dell’evento traumatico originario. La sincronicità, che in tal caso però potrebbe avere un effetto causale ben preciso rintracciabile tramite la storia di famiglia, se si conosce, o portato alla luce tramite un approccio fenomenologico come le costellazioni familiari, produce il suo effetto e la coazione a ripetere del trauma fa il resto.
Dice Anne Ancelin:”La sindrome d’anniversario è una ripetizione di un evento familiare passato generalmente traumatico, conosciuto e qualche volta dimenticato, o sconosciuto (inconscio) che indebolisce i discendenti in certi periodi o a certe età specifiche. Questa ripetizione o fragilità può anche esprimersi con un sentimento di malessere o angoscia, con degli incubi, dei mali diversi o una malattia, un incidente, una morte improvvisa, ma anche con un evento felice (nascite o matrimoni alla stessa data per esempio)”. Anne Ancelin Schützenberger spiega la coazione a ripetere del trauma tramite “l’effetto Zeigarnik”, una psicologa russa che ha dimostrato, lavorando con i bambini, che un compito non portato a termine crea un bisogno di completezza che resta inappagato, creando frustrazione e ansia, sino a quando qualcuno non lo porta a termine. Anche il lutto non elaborato o risolto potrebbe rientrare in questo scenario.
Portando alla luce o esprimendo l’evento cruciale, tramite lo psicodramma o una costellazione familiare sistemica, il trauma originario che ha provocato un effetto “valanga” lungo le generazioni, con la sua scia di dolore e l’urlo disperato delle vittime che reclamano ancora di essere viste, onorate e congedate amorevolmente, si creano i presupposti per apportare una riparazione non solo all’anima di chi è stato coinvolto direttamente da quella esperienza ma anche a tutti coloro che in un modo o nell’altro ne sono stati affetti.
Le costellazioni familiari e l’approccio sciamanico
L’approccio fenomenologico delle costellazioni familiari sistemiche permette di portare alla luce e trasformare i legami nascosti e nocivi che residuano nel sistema famigliare e che possono protrarsi lungo le generazioni. Tramite la rappresentazione sistemica, i rappresentanti scelti a rappresentare qualcosa o qualcuno che si ipotizza possano giocare un ruolo importante nel perpetuarsi della storia nascosta che causa un disturbo o un disagio vengono raggiunti da movimenti, sensazioni ed emozioni di ciò o colui che stanno rappresentando, anche se non sanno nulla del soggetto rappresentato n’è conoscono la sua storia familiare.
Le ipotesi fondamentali portate a spiegazione di questo fenomeno, soprattutto da parte di approcci che si rifanno alla psicologia del profondo, sono state più o meno riassunte prima. La visione sciamanica parla esplicitamente di anima famigliare, di una rete cosciente che collega tutti i membri della famiglia o di una comunità, e tutto quanto gli sciamani sanno e fanno per riparare gli effetti di traumi irrisolti nell’anima “individuale” delle persone analogamente possono essere applicati all’anima famigliare e al relativo campo cosciente che la circonda. Questo è anche il motivo per il quale ogni “recupero o riparazione dell’anima” svolto in ambito nativo e indigeno per un individuo viene sempre fatto con il supporto di tutta la famiglia e la comunità. La differenza fondamentale, tra le costellazioni familiari tradizionali e quelle sciamaniche, sono le risorse che vengono messe in campo e invocate. Nel primo caso l’abilità è pressoché concentrata sul costellatore che facendo leva sulle sue abilità di empatia, capacità di ascolto, risonanza e resilienza, nonché conoscenza del linguaggio non verbale dei rappresentanti e altri aspetti di conoscenza ed esperienza maturati nelle proprie discipline di provenienza, segue lo sviluppo della trama per cercare di sciogliere e superare i nodi o gli ostacoli che si presentano e orientare la costellazione verso una differente soluzione più salutare e risolutiva. E’ in quest’ottica che vengono suggerite frasi da ripetersi ad opera dei rappresentanti per portare a livello cosciente un non detto o un segreto che non si osa manifestare oppure per esprimere una emozione repressa, compiere dei gesti rituali, piccoli o grandi spostamenti per sbloccare situazioni di stallo o di congelamento nello sviluppo della costellazione.
Nel secondo caso, alle abilità del costellatore citate prima, si aggiunge il supporto fornito dalle risorse spirituali che vengono chiamate in campo ad operare. L’approccio sciamanico presuppone anzitutto che l’operatore non inizi ad operare se non ha creato prima uno spazio sacro, ovvero uno spazio protetto e sicuro nel quale vengono invocate forze spirituali a supporto del lavoro di guarigione in atto, nel caso specifico della costellazione. In particolare, se il tema trattato è esplicitamente famigliare, la chiamata in campo e conseguente presenza degli spiriti degli antenati ancestrali, ovvero le radici paterne e materne della genealogia che costituiscono una risorsa potente di supporto e di guarigione a tutte le linee ancestrali del cliente, provoca dei movimenti e presenta delle soluzioni altrimenti impensabili e imprevedibili. L’apertura con la chiamata degli spiriti delle direzioni (la ruota di medicina dei nativi americani, ad esempio), degli elementi (sempre presenti nella guarigione sciamanica) e dei propri spiriti alleati (come, ad esempio, animali di potere o maestri spirituali) introduce all’occorrenza ulteriori risorse di facilitazione transpersonali che cambiano notevolmente anche la natura dell’esperienza dei rappresentanti e lo sviluppo delle dinamiche durante la costellazione. Si assiste talvolta a vere e proprie “canalizzazioni”, anche spontanee, di entità benevole e compassionevoli che portano al centro la loro medicina da “altrove” e che inizia ad agire nella costellazione rendono talvolta superfluo o ridondante ogni intervento da parte dell’operatore il cui unico compito in tal caso è quello di mantenere il campo protetto ma aperto affinché queste forze possano compiere fino alla fine il loro lavoro risanatore.
Conclusione
Heinz Werner, uno psicologo dello sviluppo che ha anche studiato percezione, estetica e linguaggio, sosteneva che la percezione e l’immaginazione erano radicate nella stessa facoltà del sistema nervoso centrale e dunque originariamente identiche. Egli cita delle prove ottenute dagli studi sulla immaginazione eidetica e sulla percezione a supporto di questa ipotesi. E di sicuro vi è oggi una quantità di prove ed evidenze che la nostra percezione è mediata da un processo interno immaginale generato dall’interno ma perfettamente adattato ai dati sensoriali in arrivo in modo da consentirci di sperimentare l’oggetto osservato direttamente. Forse è in questo spazio immaginale che lo sciamano compie il suo viaggio nella realtà non ordinaria per incontrare forze spirituali ed entità mitiche con le quali farsi ponte per far si che la loro azione si possa realizzare sul piano manifestato. Dobbiamo riappropriarci della nostra immaginazione creativa come strumento di percezione svincolandola dalla falsa idea di essere un semplice sottoprodotto di processi cerebrali legati al pensiero. Chiaramente queste immagini interiori possono essere influenzate dalle nostre credenze, dalla nostra storia personale, dal nostro apprendimento, ciò che la teoria della percezione chiama il “set”. Ma quando la percezione mitica viene invocata, come fanno gli sciamani quando decidono di chiamare a supporto i propri spiriti alleati o gli antenati ancestrali, la percezione e l’esperienza evocano immagini archetipiche transpersonali, direbbe Jung, nella forma di divinità, esseri di luce o altro, che raggiungono il vissuto personale e gli eventi esterni portando la loro medicina laddove serve e nelle più svariate forme: un’acqua che riprende a fluire e ad alimentare campi aridi colpiti da siccità millenarie, un balsamo rigeneratore che penetra tra giunture rattrappite da traumi mai risolti, una dolce carezza laddove sentiamo dolore, un bisbiglio d’amore in un orecchio a colui che non ha mai ricevuto cura e accudimento, uno sguardo che finalmente riesce a rivolgersi alla madre o al padre con amorevolezza e comprensione e non è più costretto a rivolgersi altrove.
La conoscenza della realtà esteriore ha progredito a livelli imprevedibili ma al tempo stesso si è assistito a una corrispondente perdita di significato interiore, a una desacralizzazione della esperienza dell’uomo e della natura circostante. Dalla identità mitica dello sciamano e dei visionari, con un occhio ben aperto nell’invisibile, si è passati alla fase oggettiva e materialista dove l’attenzione è solo rivolta verso la realtà esterna e ai suoi fenomeni. Questo ha provocato, e i segnali per fortuna si stanno già osservando, un movimento talvolta involontario di compensazione (siamo inevitabilmente esseri spirituali) che spinge sempre più l’uomo a riscoprire o meglio risvegliare il proprio “veggente interiore”, riappropriarsi direbbe Campbell della propria identità mitica. La via degli sciamani permette di creare un ponte tra l’essere qui e ora nel mondo fisico materiale, con le sue leggi e i suoi paradigmi, e l’essere contemporaneamente altrove, nel mondo dello spirito, con le sue leggi e sue infinite possibilità. E ciò che separa noi dai nostri antenati, come dicono i nativi americani, è spesso tanto quanto una foglia d’acero.
Note
- Carl Gustav Jung, “Ricordi, sogni, riflessioni”, BUR saggi, Rizzoli, 2021
- Anne Ancelin Schützenberger, “La sindrome degli antenati”, Di Renzo Editore, 2019
- Francoise Dolto, “Il problema dei bambini”, Mondadori, 2005
- Nicolas Abraham e Maria Torok, “La scorza e il nocciolo”, Borla, 1993
- Rupert Sheldrake, “I poteri straordinari degli animali”, Mondadori, 2000; “La presenza del passato – La risonanza morfica e le abitudini della natura”, Crisalide, 2011.
- Ivan Boszormenyi-Nagy, Geraldine M. Spark, “Lealtà invisibili - La reciprocità nella terapia familiare intergenerazionale”, Astrolabio, 1988
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